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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Cavalcata di San Giuseppe, Scicli

    
   
Da sabato 19 marzo 2011 a sabato 19 marzo 2011

 


 

 

Affonda le sue radici nel Medioevo la tradizione secondo cui ogni anno la festa di San Giuseppe a Scicli viene onorata con una cavalcata al cui passaggio per le vie della città si accendono i caratteristici falò che illuminano la notte, ricordando la fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e del bambin Gesù, in groppa a un asino. Secondo alcuni storici la tradizione dei falò può farsi risalire ad una festa tra le più importanti dell'antica Roma, quella in cui veniva osannato il "sol invictus", la festa del trionfo della Luce (la Primavera) sull'inverno tenebroso. Tra le fonti più risalenti che parlano di questa tradizione lo storico Pitrè, mentre Elio Vittorini dedica una pagina memorabile delle sue "Conversazioni in Sicilia" alla tradizione della cavalcata di Scicli.

La rivisitazione storico-religiosa della fuga in Egitto narrata dagli Evangeli si svolge ogni anno intorno al 19 marzo, con la preparazione di cavalli che vengono bardati con fiori e violaciocche (u balucu, nel dialetto locale), e con essi i cavalieri percorrono le strade della città, dove, intanto, vengono accesi particolari falò (i pagghiari).

Vicino ai falò si raggruppano capannelli di persone che consumano insieme cene frugali a base di arrosti. Le migliori bardature vengono quindi premiate dal comitato che organizza la festa. Caratteristico anche l'abbigliamento dei cavalieri: un paio di pantaloni di velluto, con il taglio alla carrettiera, e un gilet abbinato, di colore scuro, una camicia bianca con le maniche rimboccate, una cintura molto larga, lavorata a mano, di vari colori, dalla quale penzola, sul fianco destro, un grande fazzoletto rosso, una burritta col giummo in testa e una pipa di creta o di canna. Quattro ciaccari, due davanti e due dietro il cavaliere, a forma di croce, illuminano il percorso dei cavalli. La tradizione della cavalcata si perpetua, immutata, da secoli. Solo durante le due guerre fu sospesa: in paese mancavano gli uomini, perché in guerra o dispersi. Non c'erano bestie, e per lo stato di povertà la gente faceva i pagghiari molto piccoli.

 

La festa si compone dei segni di una devozione che affonda le sue radici nella cultura contadina, nell'esigenza di chiedere a San Giuseppe l'acqua, per fare crescere le fave, per fare crescere il grano. Nel mese di marzo a Scicli non piove più, e un tempo non era inconsueto sentire, al passare della cavalcata: "Patriarca beddu, dateci l'acqua, fate piovere". Un'immagine di San Giuseppe a Scicli campeggiava in ogni stalla. La bestia a quel tempo, per i contadini, era tutto, era il simbolo della vita. Per arare il campo, per il trasporto ci voleva l'animale. L'effigie di san Giuseppe proteggeva la famiglia contadina da ogni fatalità: il santo riceveva in cambio esclusiva devozione, una devozione che anche quest'anno, si perpetua nel solco della tradizione.

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