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Cultura | Storia locale

 

Una pagina del prof. Amabile Guastella. Datata 1876

Modica - Una foto scattata nel 1876.

Rivela una pietà religiosa, negli Iblei, diversa da quella conosciuta nel Ventesimo secolo. Il fotografo è un mangiapreti di Chiaramonte Gulfi, Serafino Amabile Guastella, docente al regio liceo classico di Modica.

Nel suo introvabile testo “Canti popolari del circondario di Modica” Serafino Amabile tratteggia il panorama delle feste religiose di questo lembo di provincia di Siracusa, prima che la Prefettura di Ragusa fosse inventata, svelando, a chi legge con gli occhi contemporanei, una storia diversa.

“Le feste nel corso dei secoli vivono alterne vicende –spiega lo storico Paolo Nifosì-. Scopriamo così che feste oggi cadute nel dimenticatoio avevano importanza decisiva nella vita religiosa dei nostri avi, mentre feste che oggi riteniamo fondamentali sono entrate nella coscienza religiosa relativamente di recente”.

Ma qual è il quadro dipinto dal professore Serafino Amabile nel 1876?

“La beffa sguaiata, la gozzoviglia immodesta, gli urli, i fischi, le ingiurie, le percosse, sono eredità vivissima lasciataci da Pagani”. L’esordio non è affatto tenero. Ma è nel costume popolare la critica più feroce e attuale: “L’operaio fa un buco nella sua vita monotona e si abbandona al chiasso e alla gozzoviglia; l’agricoltore trova un dilettissimo passatempo nei mortaretti, nei tamburi, nelle campane, nella musica, nelle processioni, negli urli; la femminuccia sfoggia una nuova gonnella, o una nuova mantellina e attira le occhiatine dei giovani”.

Poi Guastella affonda la lama: “Sono atroci le ingiurie che in Comiso i devoti dell’Annunziata scagliano sull’Addolorata, e i devoti di questa sull’altra. L’espressione meno ribalda è di “puviridduna” e di “spicalora” profusa sull’Annunziata perché bruna di volto, e di “scula aranci” a Maria dei Dolori perché torce le mani in segno d’ineffabile angoscia”.

Le accuse che i parrocchiani dell’una e dell’altra confraternita vanno perciò da poveraccia (riferito nientemeno che alla Vergine!) e spremi-arance…

A Scicli le contumelie fra confrati antagonisti riservano a Maria l’appellativo di “lavannara” (lavandaia), per l’Addolorata di san Bartolomeo e “facci arrappata” (faccia rugosa), per l’Addolorata di Santa Maria La Nova.

“Crudelissimo è in Spaccaforno il costume dei congregati dell’Ecce Homo. Nel giorno del giovedì santo si denudano sino alla cintola e cominciano a battersi con tanta efferata violenza sulle spalle e sul petto che bentosto divengono una sozza piaga”.

I fedeli intonano quindi “una strofetta: Lu cunigghiu avi la tana, lu surciddu ha lu purtusu, e biu, Patri amurusi, nun aviti né tana né purtusu”.

E della Madonna Vasa Vasa cosa racconta Serafino?

Dedica poche righe alla festa, segno che non aveva, al tempo l’importanza odierna, ma la descrizione è, come sempre, efficace: “In Modica nella processione di Pasqua la Vergine dei dolori va in traccia del figliuolo risorto, e costui della madre. Finalmente s’incontrano, tendono le braccia, e si annodano in un caldissimo amplesso. Qui succede nel popolo una tenerissima scena. I congiunti, gli amici, tutti coloro che per litigi, per parole risentite, per ingiurie sofferte, han cambiato in odio l’affetto, aprono le braccia, si baciano con effusione, e promettono non conservare rancore.

Il villano do un pugno sulle reni del villano, con il quale è stato in discordia, si netta le labbra  con la manica del robbone, e qui un bacio, un bacio di quei che allargano il cuore. Ecco la vera, la santa festa cristiana”.

Nulla dice, ad esempio, il Guastella, sulla festa del Cristo Risorto di Scicli, mentre indugia parecchio sulla festa della Madonna delle Milizie.

Ma è nella domanda topica il momento più duro del suo j’accuse: “Il popolo siciliano, o, per restringermi, il popolo della Contea, è veramente cattolico? E’ cattolico qualora si osservi all’ingrosso, cattolico perché crede a tutti i dommi, perché ammette tutti i Sacramenti, perché s’inchina a tutti i precetti, , a tutte le pratiche divote che prescrive la chiesa: ma pure quanta falsità, quanta confusione nel valutare i precetti!”. 

Giuseppe Savà

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