Modica, anche quest’anno, a Pasqua si prepara all’evento più atteso: ’A Maronna Vasa Vasa. Tradurre il senso dell’incontro tra la statua della Madonna e quella del Cristo Risorto spiegando che si tratta di un girovagare per la città che si esaurisce in incontro suggellato con un bacio è quanto meno riduttivo. Ma cosa c’è dietro quel semplice gesto? Quel “vasa vasa” è un movimento che riassume ragioni profonde. Come spesso accade è la saggezza popolare a dare spiegazioni. Così ci viene in aiuto una preghiera antichissima che di ogni “vasu” ci restituisce il significato recondito. La voce è quella di una anziana signora: Maria Bonomo. Novantadue anni di ricordi, siede in un angolo e ripete una nenia; il suono è quello che per errore si sente se nel cambiare canale alla radio ci si imbatte nelle frequenze arabe. Quando il figlio le chiede di ricordare quella preghiera, Lei, donna minuta nel suo abito solito chiude gli occhi in forma di ricordo e appena accennando un movimento col capo inizia d’un fiato. L’ascoltatore se non comprende la lingua può solo afferrare il senso della rima alternata e il ritmo interno delle strofe ciascuna ad invitare la successiva in una danza di parole. Ma se alle parole chi ascolta riesce a dare un significato si entra non solo nella metrica precisa antica e rispettosa delle pause, ci si addentra nel senso profondissimo di quel rapporto madre figlio esempio di ogni relazione di sangue. Ma anche di più: ci si addentra nel senso della ricorrenza di ogni Pasqua Modicana. “A lu jovi ri la sira// lu pigghiaru ‘ncasa ranni// ccu la facci a trasciuniuni //e Maria ‘rrieri a li porti //ca sintia li riscurriati”. Solo chi ha negli occhi il passo di Maria coperta da un manto nero, la domenica di Pasqua, comprende lo stato d’animo di questa donna che ha subito lo scippo del figlio trascinato con la faccia per terra. Chi lo ha frustato sembra avere avuto, di lei, pietà perché lo ha fatto a porte chiuse. Maria sente il rumore dei colpi di frusta: uno, o due, tre, dieci. Quel “li riscurriati” suppone un gesto barbaramente reiterato. Il manto nero riveste il ricordo di ogni gesto scellerato e protegge il ricordo materno del manto celeste. A chi la vede passare sembra di udirla quella voce supplicare “ rati aciddu, nn’ati forti //su carnuzzi dilicati”. Fortissima supplica. È la preghiera di una madre rivolta non all’Altissimo ma a uomini. Lei sa che quei carnefici sono in procinto di compiere un dovere imposto, ma li prega di non colpire il figlio troppo forte. Così la madre di ogni madre, quella che riassume in sé la pena, che sente dolore per il dolore del proprio figlio supplica i carnefici: le sue sono carni delicate. E lo vedi aggirarsi per la città, con il suo seguito di dolore, questo manto nero a dare lacrime ad ogni pianto di madre. Quello di Maria è un girovagare non è una ricerca: sa bene che il figlio è morto. E quel percorrere le strade della città è tipico di chi nel movimento, per non impazzire di dolore, vaga senza meta e trattiene ogni ricordo di ciò che è stato quasi che ricordare aiuta a ripercorrere e dunque a rivivere attimi in cui la vita, comunque, scorreva e non tutto era perduto. “’Ssatila peddri sta povira ronna/// mentri c’aviti ‘npussessu a mia”. Gesù interviene da figlio ormai uomo. Ordina di lasciare che la madre non viva lo strazio del suo dolore. Ma la madre seguita il suo vagabondare e sembra rimuginare ogni istante del flagello. Se lo porta dietro nel suo manto nero per le strade della città. E come spesso accade nel dolore a volte la rabbia prende il posto della pietà: “ E tu ronna mi ciamasti //mancu mamma mi ricisti” ripensa al figlio che l’ha chiamata “donna”non più madre. Chiamare mamma è un’invocazione di aiuto, lei bene lo sa. Quel “donna” per lei segna un distacco non solo incomprensibile ma perfino imperdonabile. “E su mamma ti ricìa// iu ra cruci mi ni carìa// e su mamma ti ciamava// iu ra cruci mi disciuvava”. L’eco del figlio risponde al rimprovero. Cristo giustifica la sua umanità, il senso profondo del suo essere uomo. Invocarla come mamma avrebbe significato scegliere di scendere dalla croce ma allo stesso tempo venire meno alla missione che Dio Padre gli aveva imposto: morire sulla croce del dolore per risorgere. La nenia prosegue nel suo incedere sempre uguale ma lascia il senso profondo di quanto accaduto. E Maria seguita a pregare invano perché la sua preghiera è rivolta agli uomini: “Maria ittau na ’uci e s’ammantinni// vitti a sa figghiu a la cruci ca penni// pigghiatici na scala e quannu scinni //quantu cci vasu sti poviri carni”. Non le resta ormai che chiedere agli uomini di potergli baciare le carni martoriate. E pervasa dal dolore avvolta nel suo manto nero va errando per la città col suo seguito di devoti che ne osservano il dolore con rispetto. Solo col carico di queste premesse quel “vasa vasa” di Maria al figlio riveste il senso profondo della liberazione dal dolore di madre . Maria lascia cadere il suo manto nero e nel suo liberarsi del lutto ripete il gesto spontaneo di un “vasa vasa” che è abbraccio materno e insieme riverenza di fronte alla riconosciuta divinità.