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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

               LA FIGURA DI 
       TOMMASO CAMPAILLA


Tommaso
Campailla 
nacque a Modica il 7 aprile 1668, figlio di Antonio e di Andreanna
Giardina. 
Non si dimostrò dotato di particolari inclinazioni fino all’età
di sedici anni, quando sentì il bisogno di un’istruzione e fu avviato
agli studi sistematici presso la scuola dei Gesuiti, presente in città.
Proseguì gli studi all’università di Catania, dove, pur frequentando i
corsi di diritto, mostrò una particolare predilezione per la medicina, le
scienze naturali, la filosofia, le belle lettere. Uomo eclettico, spaziò
dai poemi filosofici (“L’Adamo” 1709), alla raccolta di sonetti
(“L’Emblema” 1716), al poema teologico (“L’Apocalisse” di San
Paolo 1750). La sua fama stentò a decollare in Italia, mentre divenne
conosciuto ed apprezzato in Europa: lo attesta l’amicizia epistolare che
lo legò al filosofo inglese George Berckley i cui reperti sono ancora
visio­nabili all’interno del museo. Di carattere schivo, distratto,
solitario, continuò la sua opera fino a quando il 7 febbraio 1740 la
morte ci privò di una delle personalità più grandi del XVIII secolo. 
Il nome dello studioso modicano resta comunque legato alla
costruzione delle “stufe mercuriali” per la cura delle malattie
luetiche.


  IL MUSEO “Tommaso Campailla”
Strano museo quello del Campailla: due sole stanze lo compongono. Nella prima stanza, intesa come uno studio medico, si respira aria di fine ottocento, e per la sua suppellettile e per gli strumenti medici d’epoca
ivi esposti. Nella seconda stanza l’alta volta annerita dal fumo, il
pavimento sconnesso fatto di piastrelle quadrate, ora rosse ora avana, le
pareti crepate in più punti, l’umido, il lungo ovattato silenzio,
l’odore del tempo, riportano decisamente indietro al 1600. Lì dentro si
può ammirare l’opera del Campailla: le sue stufe create per la cura
della sifilide, intatte dopo 300 anni, crudeli, inviolate e misteriose su
cui tanto è stato detto, ma nulla di definitivo.

        LE STUFE MERCURIALI
Le tre stufe non sono altro che tre botti costruite con un legno spesso cm. 20 del quale si ignora la natura e che a tutt’oggi resta, dopo 300 anni,
intatto e durissimo. Interamente avvolte all’esterno da un duro impasto
di non chiara composizione dello spessore di cm.
2, le stufe si animavano nel passato in primavera e in autunno, Lì
dentro si bruciava, come in un rito pagano, cinabro ed incenso ed i
luetici ne uscivano ritemprati e ristorati. Quale misteriosa reazione
chimica avveniva in esse? Proviamo a ricostruirne il funzionamento. Nel
cortiletto scoperto si bruciavano in un braciere grossi pezzi di carbone
forte. Il fuoco veniva al momento giusto introdotto nella stufa. Raggiunti
i 60-70 gradi 
il braciere veniva ritirato e cedeva il posto al malato che entrava
tenendo in mano una lucerna ad olio che appendeva ad un chiodo fissato
nella botte alla sua destra e che serviva per farsi luce e nell’altra un
piccolo braciere colmo di fuoco ardente che posava tra le sue gambe,
mentre egli si sedeva su una minuscola sedia priva di spalliera. forse i
periodi ottimali per il loro impiego.

La cartina per la prima fumigazione era di mezzo grammo di cinabro e di un pizzico di incenso, l’incenso pare servisse per rendere l’aria più respirabile, mentre del primo di imbeveva tutto il corpo del malato. La dose di cinabro veniva raddoppiata la volta successiva. Le fumigazioni
erano normalmente nove e venivano praticate a giorni alterni. Nei casi più
gravi si praticavano fino a dodici, tredici

fumigazioni
e si usavano fino a due grammi di cinabro. Il malato riceveva il miscuglio
di cinabro e incenso posto nella parte bassa della porta, mentre
attraverso lo spioncino posto nella parte alta della stessa, egli veniva
continuamente controllato dato che non tutti sopportavano le fumigazioni.
A pizzichi la mistura veniva lasciata cadere dal paziente nel bracierino.
Dieci minuti dopo il suo ingresso il malato veniva fatto uscire e stendere
sul suo letto, dove continuava le sudorazioni. Lo scopo di questo sistema
era quello, almeno nelle intenzioni, di utilizzare l’azione topica e
sistemica insieme del mercurio.
C’è
da chiedersi come potesse rimanere un ammalato, dentro un ambiente così
caldo, saturo di anidride carbonica, di vapori di incenso, e di mercurio
per un tempo così lungo. Nonostante ciò i risultati con la stufa di
Campailla dovettero essere buoni se il suo uso richiamò pazienti dal
circondario e se sino ai primi anni del ‘900 nelle stazioni climatiche
più importanti d’Italia si potevano trovare dei tabelloni con la
scritta “A Modica le botti del Campailla per la cura della lue”.


( A cura del Prof. Valentino Guccione)

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