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Cultura | Modica

La lezione di storia di Gherardo Colombo a Modica

Processo a Cavour

La lezione di storia di Gherardo Colombo a Modica

Modica - Una lezione di storia. Un ripasso dei fatti che hanno portato all’Unità d’Italia, con diversi riferimenti alla situazione politico-sociale dei nostri giorni.

Una pièce che pone l’accento su temi di estrema attualità che hanno acceso il dibattito politico e avviato un processo di revisionismo sul Risorgimento. Uno spettacolo che pone degli interrogativi e induce a riflettere, ma non offre risposte.

Un processo fuori dal tempo con un imputato illustre.

Inserito nel calendario dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, organizzato dall’Associazione S.O.L.C.O.  con il patrocinio del Comune di Modica, è andato in scena al Teatro Garibaldi, “Processo a Cavour” di Corrado Augias e Giorgio Ruffolo.

Lo statista piemontese è accusato di aver favorito, o non ostacolato, l’unificazione di un paese che non aveva i requisiti per affrontare tale cambiamento e che, ancora oggi, mostra delle difficoltà. Tra i temi trattati la questione meridionale, la questione romana e l’operato di Mazzini e Garibaldi.

Ruggero Cara, autore della regia, ha vestito i panni di Cavour, Gherardo Colombo, ex magistrato balzato agli onori della cronaca per casi giudiziari quali il delitto Ambrosoli, la Loggia P2 e Mani Pulite, ha indossato la toga dell’accusa e, avvolta in un tricolore, Marta Iagatti ha dato vita all’Italia, testimone super partes del processo.

 

 

L'imputato Camillo Benso

Uno spettacolo dal tema estremamente attuale, che pone degli interrogativi e induce a riflettere, ma non offre risposte. E proprio in questo ha un punto di forza.

Camillo Benso Conte di Cavour è chiamato alla sbarra perché accusato di aver contribuito all’unità d’Italia, un paese privo dei requisiti politici, etnici e culturali necessari per affrontare un tale cambiamento.

L’accusa sottolinea i presunti errori di giudizio di Cavour su temi che, proprio in questi mesi, hanno riacceso il dibattito politico e avviato un duro processo di revisionismo sul Risorgimento.

I capi d’accusa sono tre: la valutazione sia dei moti insurrezionali di Milano e Venezia, prologo alla prima guerra d’indipendenza, che della strenua resistenza della Serenissima quando gli Austriaci avevano già ristabilito il loro ordine; la questione meridionale, che porta con sé una riflessione su Garibaldi, non più eroe, ma autore di un’aggressione nei confronti di un regno legittimo, e la questione romana.

Gli episodi di Milano e Venezia furono davvero la dimostrazione della volontà di un popolo?

Guardando al Sud, non fu sconsiderato riunire sotto la corona sabauda un Mezzogiorno di cui si ignorava ogni cosa e che aveva condizioni economiche tanto diverse dal Nord?

Non fu altrettanto sbagliato, da un punto di vista non solo religioso, ma anche civile e politico, sottrarre Roma al Papa?

L’accusa esibirà le lettere e i rapporti inviati al Parlamento del Regno dagli ufficiali piemontesi, sorpresi di fronte alla condizioni di vita delle popolazioni del Mezzogiorno, e le lettere e le suppliche di Pio IX ai regnanti d’Europa durante l’esilio a Gaeta.

Cavour si difenderà con richiami alla storia culturale, alla lingua, alle aspirazioni profonde del popolo - o almeno di una élite - al sogno lungamente delineato, fin dal XIII secolo, da Dante, Guicciardini e Machiavelli e insisterà anche su ragioni economiche e sociali.

Il finale è aperto e, dato che i temi sono ancora in discussione, non resta che prendere in prestito un verso di Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

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