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CULTURA
RAGUSA - 20/06/2011
La provincia iblea ai tempi delle neviere

I venditori di neve in provincia di Ragusa, dal 1500 a metà del ´900

La raccolta, la conservazione e la commercializzazione della neve divennero attività che consentirono a parecchi abitanti dei centri montani iblei, disoccupati nei periodi invernali, di integrare il magro reddito, ed invece, ai padroni o agli affittuari delle «neviere» di ricavare consistenti guadagni nei mesi estivi
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e neviere ancora presenti nell’altopiano ibleo, alcune semi distrutte, altre riadattate per scopi diversi, rappresentano una traccia indelebile del territorio siciliano. La forma e la struttura ne fanno uno dei capolavori dell’architettura minore siciliana. Un gran numero di esse, in origine, erano state delle semplici cavità naturali o delle grotte scavate nella roccia. L’impiego della neve nella Sicilia moderna crebbe in maniera esponenziale; ciò fece acquisire una sempre maggiore consapevolezza nelle popolazioni iblee e, conseguentemente, creò in loro le precondizioni per sempre maggiori investimenti in termini di capitale umano e finanziario per far crescere l’attività di raccolta della neve e di commercializzazione della stessa.

Fino alla fine dell’Ottocento, commercianti trapanesi trasportavano, su navi a vela, la neve a Tunisi, dove la vendevano; nello stesso periodo, Palermo veniva rifornita da due sole «neviere», quella posizionata sui monti dietro Monreale e quella vicino Corleone, chiamata «della Busambra». Dall’altopiano ibleo, invece, la neve veniva inviata alle città della costa ionica e mediterranea, fino a raggiungere l’Isola di Malta.

A Buccheri, vicino Monte Lauro, agli inizi del Novecento, le «neviere» in attività erano circa venticinque; nelle immediate vicinanze di altri paesi – Palazzolo Acreide, Buscemi, Sortino e Vizzini – era possibile trovare altre costruzione adibite alla conservazione della neve. Nella nostra provincia di Ragusa, famose sono le cosiddette «neviere a spiovente» di Chiaramonte Gulfi, come anche ciò che resta delle famose di «Santa Caterina» e di «San Bartolomeo», a Giarratana, Dagli atti del Decurionato di Monterosso Almo si evince che la neve si vendeva nella piazza principale del paese e si citano alcuni depositi di ghiaccio a Ragusa Ibla.

La peculiarità tutta iblea, relativamente alla raccolta della neve, nei confronti delle altre zone montuose della Sicilia, consisteva nel fatto che soprattutto a Buccheri e Chiaramonte l’operazione neve aveva raggiunto un’organizzazione del processo lavorativo ben pianificata e duratura nel tempo. Sulla scorta di recenti ricerche d’archivio è possibile, oggi, datare il formarsi e il consolidarsi di tale antico mestiere a partire dai primi anni del secolo XVI, così come la costruzione delle prime «neviere» è da attribuire alla volontà e all’opera delle famiglie più influenti dell’epoca. Tutte fortemente interessate ad incrementare la raccolta della neve, al fine di utilizzare il ghiaccio in applicazioni sempre più numerose e variegate. Si può senz’altro affermare che non si può parlare di «neviere» trascurando di menzionare quelle della Sicilia, altrimenti si rischia di negare la dovuta dignità all’arte gelataia siciliana, cioè a quel ceto artigianale appartenente alle classi sociali meno abbienti, che produceva vere delizie al servizio dei ceti più ricchi e potenti dell’Isola. Ad oggi, manca ancora una ricognizione archivistica delle fonti per la ricostruzione storiografica dell’attività dei «nevaioli» siciliani, soprattutto di quella che caratterizzò le zone più alte dell’altopiano ibleo. Così come uno studio antropologico sistematico ed esaustivo.

Occorrerà, dunque, partire dalla fase della raccolta, per passare, poi, a quella della produzione, per arrivare, infine, alla conseguente costituzione delle «Società per la vendita della neve». Subito dopo, sarà il caso di prendere in considerazione sia le diverse tipologie costruttive con cui sono state edificate le «neviere» siciliane, che i materiali da costruzione impiegati, oltre agli strumenti della lavorazione del ghiaccio. Infine, sarà necessario soffermarsi sui diversi tipi di consumo del prodotto ricavato dalla lavorazione della neve, senza trascurare di offrire ai lettori una panoramica sulle forme di trasporto e di commercializzazione che la riguardavano. Abili mulattieri e carrettieri, infatti, percorrevano le trazzere, caratteristiche del paesaggio ibleo, nella loro forma a ragnatela, che portavano alla marina, dove contemporaneamente andavano sorgendo le prime botteghe del ghiaccio.

La raccolta della neve era praticata già in epoca assira, Terzo millennio a.C., soprattutto nelle città di Ur e Mari (Mesopotamia) ed iniziò a decadere nella seconda metà del secolo XX, quando fu rimpiazzata dalla produzione del cosiddetto «freddo artificiale». L’attività connessa alla raccolta, anche se stagionale, era molto remunerativa ed alcuni segmenti di essa, come ad esempio la commercializzazione, non si interrompevano in nessun periodo dell’anno. Chiaramente, il consumo aumentava in estate, vuoi per la sempre maggiore diffusione dell’uso di bevande ghiacciate, vuoi per il crescente uso del ghiaccio per la conservazione degli alimenti.

Sin da epoche antichissime, molti centri montani situati nell’area del Mediterraneo, e in particolare quelli delle montagne dell’Anatolia, dei complessi montuosi della Sicilia, degli Appennini, della catena alpina, delle Sierre murciane e dell’Isola di Maiorca, attraverso la raccolta della neve integravano la difficile sussistenza economica. La presenza di «pozzi», «grotte» e «case della neve» testimonia il valore che nel tempo andava assumendo per l’economia dei diversi territori interessati la raccolta della neve e la sua gestione.

Lungo l’asse della storia dell’uomo, l’utilizzo a fini alimentari della neve andò consolidandosi come elemento di ricercatezza nelle tavole imbandite a festa, nei banchetti reali, come un genere consumato principalmente dal patriziato urbano, anche se non è da escludere che, nelle prime fasi, il consumo fosse esclusivo appannaggio dei ceti meno abbienti. Inoltre, l’esistenza nei centri montani della nostra Isola, di piccole cavità all’interno delle case, sotto il pavimento o l’esistenza di botole all’esterno, vicino all’ingresso, testimonia come si iniziò a pensare alla raccolta della neve e al suo utilizzo per gli usi più svariati.

Il consumo di neve come bene voluttuario fu ulteriormente incentivato durante la dominazione greca in Sicilia. Teocrito, nei suoi Idilli, ci riferisce dell’uso di bere il «vino annevato», laddove fa dire a Polifemo: «E’ l’acqua ghiacciata, che mi fornisce l’Etna coronata di foreste, dalla sua neve immacolata come bevanda degli Dei». I greci di Siracusa usavano un particolare vaso dalla forma insolita, con base ristretta e la parte alta allargata, chiamato Psykter, per tenere in fresco il vino. La tecnica consisteva nel porre il vaso in un recipiente più grande, ripieno di neve o acqua ghiacciata. Tale tipo di vaso è databile attorno al V secolo a.C. e se ne parla in diverse fonti, molte delle quali citate da Ateneo e da Platone, il quale nel Simposio scriveva: «Ragazzo, porta quel vaso per tenere fresco il vino».

Se le modalità di conservazione della neve risalgono principalmente ai Romani, l’uso di scavare la roccia per ricavarne le «neviere» appartiene agli Arabi. Durante la dominazione araba, in Sicilia aumentò l’uso del consumo di neve per rinfrescare le bevande e di conseguenza s’incrementò l’attività della raccolta. S’iniziò, fra l’altro, ad utilizzare il sale per abbassare il grado termico della neve, che intanto cominciava ad essere miscelata con il succo di limone. Un problema che si pose agli occhi di tutti riguardava l’igiene. Insomma, per quanta attenzione si potesse fare durante le fasi di raccolta, non si riusciva ad evitare che la neve non venisse a contatto con impurità, vuoi del terreno (non appena cadeva), vuoi del trasporto (in quanto veniva posta all’interno di sacchi di iuta), vuoi infine delle grotte in cui veniva stipata. Tutto ciò indusse a vedere nella neve un fattore di sviluppo economico locale se si fosse riuscito a mettere a punto un sistema perfezionato, a partire dalla raccolta e fino al consumo, passando attraverso la conservazione e il trasporto.

Alcuni documenti di epoca medievale attestano che in Sicilia la neve cominciò ad essere impiegata in campo medico, destinata soprattutto alla cosiddetta «cura di lu friddu». Sempre durante il medioevo, la costruzione delle «neviere» venne sostenuta con maggiore cura soprattutto dalle classi più agiate, sempre più interessate ai profitti derivanti dall’organizzazione della raccolta della neve. Così si consolida l’utilizzo della neve come bene di lusso, da consumare preferibilmente durante particolari ricorrenze o cerimonie galanti, all’interno delle ville o dei palazzi signorili. La forbice sociale si andava allargando man mano che i prezzi andavano aumentando, per l’utilizzo sempre più esclusivo che ne facevano le classi più ricche.

E’ nel periodo rinascimentale che l’attività di raccolta da estemporanea ed episodica diventò pianificata e regolamentata e, comunque, sempre più di pertinenza delle classi sociali più ricche, nonché delle rappresentanze ecclesiastiche più alte. Tutto ciò comportò la specializzazione dell’attività di raccolta sempre più strutturata secondo i dettami delle classi privilegiate. In Sicilia, in particolare sulle propaggini dei Monti Iblei e che raggiungono la quota massima di 987 metri sul livello del mare, le attività legate alla raccolta e all’uso della neve, si consolidarono a partire dal 1500 e decaddero alla metà del Novecento. La raccolta, la conservazione e la commercializzazione della neve divennero attività che consentirono a parecchi abitanti dei centri montani iblei, disoccupati nei periodi invernali, di integrare il magro reddito, ed invece, ai padroni o agli affittuari delle «neviere» di ricavare consistenti guadagni nei mesi estivi. Una, due e spesso anche tre nevicate nell’anno rappresentavano la certezza di guadagni integrativi o aggiuntivi, a seconda dell’appartenenza dei beneficiari all’una o all’altra classe sociale.

Nella foto in alto, una nevicata in provincia di Ragusa nel 1940

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