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Cultura | Cinema

I quattro film ambientati da Pierpaolo Pasolini sull'Etna

Un aristocratico dal volto triste

C'è un regista che, sedotto dalle bellezze aspre e selvagge del Mongibello, vi ha ambientato 4 film: Pier Paolo Pasolini. Quei paesaggi brulli e danteschi egli li volle come cornici ideali per "Il Vangelo secondo Matteo", "Porcile", "Teorema" e "I racconti di Canterbury". Quattro pietre miliari della produzione pasoliniana.
L'attore-regista catanese Gianni Scuto fece parte del cast di "Porcile", conobbe dunque a fondo il regista del "Decameron" e di lui ora ci svela segreti e aneddoti, soffermandosi peraltro sull'amore di Pasolini per l'Etna.

"Lo amava a tal punto - dice - che ne fece lo sfondo ideale per 4 pellicole. Pasolini era attratto dalle sciare desertiche che hanno qualcosa di lunare e dunque di arcano, di misterioso. Girai Porcile nel 1969. Avevo un doppio ruolo: ero la controfigura del protagonista, il compianto Pierre Clementi, e interpretavo inoltre il dignitario di corte nel processo che si svolgeva nel maniero di Acicastello, altra seducente location. Una cosa che non posso dimenticare è il freddo che soffrii a oltre 2000 metri di altezza quando, come da copione, girai alcune scene quasi del tutto nudo. Era novembre e a quella quota soffiava un vento gelido. Ero intirizzito e, a causa della temperatura glaciale, mi caddero i peli delle gambe! Invidiai Pierre Clementi che se ne stava al caldo mentre io, sua controfigura, battevo i denti. Gli assistenti mi portavano coperte per mitigare il gelo, ma non bastavano. Non vedevo l'ora che quel supplizio finisse. Una cosa che mi rimase impressa fu il dinamismo di Pasolini che correva… come un pazzo facendo tutto lui: l'operatore, il regista, il trovarobe, l'autore".
Come la contattò Pasolini?
"Mi vide a Catania, in via Etnea mentre sostavo davanti a un bar e mi fece chiamare da un suo segretario. Aveva un giubbotto nero, camicia e occhiali scuri, Il volto scavato. Mi disse: 'Domani le faccio un provino, la farò entrare nel mondo del cinema'. L'avevo colpito per la mia altezza. Mi diede appuntamento per l'indomani alla Galleria di Corso Sicilia e lì, per l'appunto il giorno successivo, lo trovai. Indossava una sgargiante camicia a fiori col colletto alto dalle punte lunghe. Notai subito che era attorniato da tanti ragazzi. Superato il provino, qualche giorno dopo salimmo in cima al vulcano per iniziare le riprese. Con lui instaurai subito un rapporto schietto, tanto che gli contestai la poesia contro il movimento studentesco del '68 da lui pubblicata tempo prima su L'Unità. Pasolini mi rispose con poche parole, facendo intuire che stava cominciando a prendere le distanze dall'ideologia comunista e dalle dottrine marxiste. Accennò che stava attraversando un periodo di crisi di identità politica, anche se, anni dopo, girerà quel grande affresco antifascista che è Salò o le 120 giornate di Sodoma.
"Comunque sia, io ricordo Pasolini come un pessimista, non sorrideva, non scherzava. Ma aveva un grande fascino, non era mai invadente e si limitava a pronunciare poche parole, sommessamente. Capii anche che era un uomo che soffriva, per la solitudine e per la sua condizione di diverso. Sul set però era attivissimo. Istruiva a dovere gli attori, dava il motore, pure il ciak e poi l'azione e manovrava in prima persona la macchina da presa tenendola sulla spalla per i primi piani. Era pure un campione di pignoleria: una scena la ripeteva all'infinito. Avere lavorato con lui significa avere conosciuto un grandissimo maestro di arte e di vita. Con noi attori era freddo ma gentile e puntiglioso, non rimproverava mai, ma dava suggerimenti. Nelle pause stava per conto suo, mangiava da solo o, al più, assieme a Ninetto Davoli, che lo chiamava papà, e assieme all'aiuto regista Sergio Citti, fratello di Franco, uno degli attori prediletti da Pasolini. Di quell'esperienza mi è rimasta l'immensa stima per il maestro e l'amicizia con Ninetto, col quale a volte ci sentiamo. Tutte le sue energie Pasolini le spendeva sul set, dove utilizzava anche 4 macchine da presa, una delle quali, ripeto, stava sempre sulla sua spalla. Come definirei il regista? Un aristocratico del cinema. Un aristocratico dal volto triste".

Redazione

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