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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Villa del Casale di Piazza Armerina. Giunti in dirittura d’arrivo i lavori di restauro

Villa del Casale

Il 2012 oltre che festeggiare il 40° anniversario della istituzione della Lista mondiale dei beni patrimonio dell’umanità, segna il 15° anniversario del riconoscimento di Bene inalienabile dell’umanità (1997) quale «sublime esempio di lussuosa villa romana, che illustra graficamente la prevalenza delle strutture sociali ed economiche del suo tempo. I mosaici che la decorano sono eccezionali per la loro qualità artistica e la novità dell’ampiezza» della Villa Romana del Casale, imponente villa signorile costruita tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d.C. su una villa rustica preesistente.

Sita a 4 chilometri a Sud di Piazza Armerina, al centro della Sicilia, la Villa è uno dei più importanti monumenti risalenti alla tarda età imperiale, da un decennio stabilmente collocata al secondo posto tra i siti romani fuori Roma maggiormente visitati in Italia, alle spalle di Pompei.

La sua importanza è legata certamente all’estensione e alla qualità dei suoi mosaici, ma anche alla scelta che fu fatta al momento degli scavi: lasciare in situ i pavimenti musivi piuttosto che trasferirli in un museo come è stato fatto a Tunisi dove i mosaici sono esposti al Museo del Bardo. La scelta fortemente sostenuta da Cesare Brandi consente, da allora, di entrare in un grande Palatium imperiale cogliendone i rapporti e le relazioni con il suo latifondo e, in particolare, con la vallata del fiume Gela (che in questo tratto prende il nome di Nociara), molto ricca d’acqua e di vegetazione. Il vasto latifondo romano era Philosophiana che aveva al suo interno anche la non lontana omonima Statio dell’Itinerarium Antonini, la strada imperiale che collegava Catania con Agrigento, oggi inserita all’interno del perimetro del Parco archeologico della Villa Romana del Casale e delle aree archeologiche di Piazza Armerina e dei comuni limitrofi istituito nell’estate 2010.

Una questione a lungo dibattuta riguarda il possibile proprietario della villa: alcuni ipotizzano il Tetrarca Massimiano Erculeo, morto nel 310, oppure il figlio Massenzio; altri un uomo potente della cerchia imperiale del IV secolo, forse un senatore, oppure un grande commerciante di animali da destinare agli spettacoli del circo che si tenevano a Roma e nelle principali città dell’impero. Per un certo periodo la tesi più accreditata ha identificato il proprietario in Lucio Aradio Valerio Proculo Populonio, governatore della Sicilia tra il 327 e il 331, ma anche organizzatore di grandi giochi a Roma, prima del suo trasferimento in Sicilia.

Recentemente si è sempre più affermata una nuova tesi promossa dallo storico siciliano Vittorio Malfa e autorevolmente sostenuta dall’archeologo Patrizio Pensabene sulla base di alcuni ritrovamenti: il proprietario potrebbe essere identificato in un præfectus urbi di Roma a metà del IV sec. d.c., Gaio Ceionio Rufio Volusiano, anche console sotto Massenzio e Costantino, proprietario di grandi latifondi in Africa oppure in suo figlio Ceionio Rufio Albino, anche lui console e prefetto, scrittore che si definisce “philosophus” (da cui il nome del latifondo della Villa Philosophiana).

Quel che è certo è che questo imponente edificio subì un lungo declino dopo il periodo del massimo splendore, tra il IV e il V sec. d.C., ma non smise mai di essere utilizzato almeno fino al XII secolo. Infatti vi si installarono gli arabi che trasformarono i possenti muri della Villa in villaggio e perfino i normanni guidati da Ruggero d’Altavilla, dopo avere fatto una meticolosa pulizia etnica, si insediarono nei Palatia di contrada Casale. Il villaggio però venne raso al suolo nel 1161 per volontà di Re Guglielmo I, poiché i baroni lombardi di Piazza si opposero alla sua politica filo saracena. La popolazione fu però autorizzata a fondare una nuova città che, di lì a poco, venne costruita qualche chilometro più a nord: l’attuale Piazza.

Il legame tra la Villa e la Città è stato confermato dai recenti scavi condotti sotto la direzione di Patrizio Pensabene dell’Università Roma la Sapienza (dal 2003 ad oggi). Durante le otto campagne di scavo, oltre a un nuovo complesso termale mosaicato rinvenuto proprio nell’estate 2011, è stata portata alla luce una estesa parte medievale trascurata e si è potuto dimostrare che la città medievale insediata sui resti della Villa venne abbandonata simultaneamente a metà del XII sec. e, successivamente, sepolta da una colata di fango caduta dalla collina che la sovrasta, alla quale si deve la conservazione dei suoi preziosissimi pavimenti.

La grande campagna di scavo che mise alla luce questa sontuosa Villa fu diretta, tra il 1950 e il 1955, dal grande archeologo Gino Vinicio Gentili, ma di una preziosissima area archeologica si sapeva da secoli.

Solo all’inizio degli anni Novanta uno studioso locale si accorse che un acquerello dipinto alla fine del XVIII sec. dal pittore e viaggiatore francese Jean Houel altro non rappresenta che uno degli acquedotti della Villa, sebbene esso si intitoli “Rovine di Gela Mediterranea nei dintorni di Piazza”. È questa la più antica immagine che riguarda il monumento, mentre per notizie documentate occorre risalire fino ai primi anni dell’Ottocento quando vennero eseguiti alcuni scavi ad opera dell’archeologo romano Sabatino del Muto mentre notabili inglesi venivano autorizzati ad acquistare statue e opere d’arte che emergevano in contrada Casale.

Un altro grande archeologo, Paolo Orsi, negli anni Venti del Novecento scoprì il primo mosaico, quello delle fatiche di Ercole che, dopo le fotografie di rito, venne nuovamente coperto; altri mosaici vennero rinvenuti poco prima della seconda Guerra Mondiale.

Solo grazie all’intervento della Cassa per il Mezzogiorno, all’inizio degli anni Cinquanta Gentili poté portare alla luce ben 3500 mq di pavimento a mosaico, la più grande superficie con queste caratteristiche esistente al mondo che ebbero anche una immediata risonanza internazionale testimoniata, tra l’altro, da una copertina di Time grazie alle cosiddette “fanciulle in bikini” tirate fuori dalla coperta di fango proprio nell’anno in cui gli americani accettarono quel nuovo costume in due pezzi inventato dai francesi qualche anno prima.

Dopo essere stata parzialmente coperta con strutture in mattoni e legno, negli anni Sessanta la villa venne ricoperta da una struttura in ferro e perspex progettata dall’arch. Franco Minissi secondo le indicazioni dello storico dell’arte e teorico del restauro Cesare Brandi: la configurazione di una ipotetica originaria volumetria, realizzata con materiali contemporanei, in modo da garantire la luminosità degli ambienti e una eccellente visibilità dei pavimenti grazie al sistema di passerelle sopraelevate che impedisse di camminare sui mosaici.

La Villa presenta l’ingresso rivolto a Sud costituito da un arco romano con tre ingressi con accanto le fonti dove i cavalli potevano abbeverarsi. Oltre l’arco d’ingresso c’è un atrio circondato da un portico. Di fronte all’ingresso, il quartiere termale, alla cui destra comincia l’area dei soggiorni, servita da due acquedotti: un primo che giunge direttamente alla zona delle terme, un secondo che raggiunge le sale destinate ai ricevimenti. La pianta del complesso è molto articolata con una parte pubblica, una parte privata, una destinata alla servitù e una agli ospiti. Al centro del complesso il grande giardino centrale (peristilio) che ha al centro una fontana e attorno al quale si sviluppano i diversi ambienti. La parte pubblica comprende l’atrio d’ingresso e il peristilio, il quartiere termale con la palestra e una diæta, cioè una stanza di soggiorno. La parte privata della Villa si sviluppa a sud del peristilio, al di là del grande corridoio orientale, chiamato corridoio della Grande Caccia, attorno a un cortile a forma di ellisse attraverso il quale si può accedere al maestoso triclinio (la sala per i banchetti). Qui si sviluppa la parte urbana della villa, cioè quella più privata del padrone (dominus) e della sua famiglia, che comprende anche una grande basilica.

Proprio sull’arco d’ingresso a tre fornici sono stati messi alla luce degli affreschi che dimostrerebbero la impossibilità di una proprietà imperiale del Palatium, indicando, invece, in un personaggio di elevatissimo rango il dominus del Casale.

Fin dall’inizio dei lavori di restauro il monumento era visitato annualmente da circa mezzo milione di turisti e presentava alcuni problemi di conservazione in parte legati all’altissimo numero dei visitatori, in parte a fattori climatici che mettevano a rischio pavimenti e affreschi.

I restauri, ormai completati sono, iniziati nel 2007 su progetto redatto dal Centro Regionale della Progettazione e del Restauro della Regione siciliana diretto da Guido Meli (oggi direttore del Parco) sulla base di direttive impartite dell’Alto commissario per la Villa Vittorio Sgarbi, dopo una concitata fase che diede origine a un esteso dibattito internazionale sulle proposte in quei mesi avanzate dal critico ferrarese.

Intanto, è stato modificato il sistema degli accessi e delle aree di servizio.

Infatti la Provincia regionale di Enna ha realizzato a nord della Villa un grande parcheggio capace di ospitare una cinquantina di pullman turistici e un’area commerciale con 22 box in legno i quali accoglieranno nuove attività commerciali consentendo di eliminare le tradizionali bancarelle che hanno finora invaso le strade di accesso al monumento.

Dopo la lunga crisi coincisa con la seconda metà del primo decennio del XXI secolo e con i lavori di restauro, durante i quali il numero dei visitatori è crollato a poco più di 200 mila, il 2011 ha mostrato una decisa inversione di tendenza: i dati relativi al trimestre maggio-luglio indicano un aumento del 38% dei visitatori tanto che, dal 19 marzo 2011 (data di riapertura) al 31 agosto, è stato superato il totale dell’anno precedente.

Articolo di Daniela Minacapilli in http://www.rivistasitiunesco.it

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