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Guido Giuffrè scrive
Piero Guccione litografo
"Si considera, giustamente, Guccione il maggiore pittore italiano vivente, ma è anche il più grande nostro litografo"


Ragusanews.com pubblica un testo inedito su internet, del critico d'arte Guido Giuffrè: Piero Guccione litografo.

Buona lettura.
"Se Rembrandt avesse conosciuto la litografia...", pare abbia sospirato Degas; e tutti possiamo immaginare quali risultati ne sarebbero venuti.

Ma i se non fanno la storia, alla storia non manca nulla.

Eppure, continuando nella divagazione, se Rembrandt oltre alla litografia non avesse conosciuto la calcografia, sarebbe stato più facile prevedere le sue (mai realizzate) magie con la matita grassa sulla pietra piuttosto che quelle con la punta sul metallo: lui maestro e mago, appunto, della luce e dell'ombra. Ed invece è stato, Rembrandt, forse il più grande incisore di tutti i tempi.

Se Goya fosse privato dei suoi celebri cicli calcografici, o se non avesse litografato i tori di Bordeaux, molto, moltissimo di lui ci mancherebbe; così se Fattori non avesse inciso le sue lastre o Morandi le sue.

Eppure Morandi, Fattori e Goya sono e sarebbero rimasti grandi per i loro dipinti. Ora, conoscendo i risultati della pittura di Piero Guccione e il suo accanimento sulla tavolozza, le stesure infinite, i tempi lunghissimi, chi avrebbe scommesso sulla sua litografia? Quella pittura è la più alta che si faccia oggi in Italia, e la sua ricchezza, l'ampiezza dei mezzi di cui dispone – quasi nella gamma sconfinata dei colori l'artista catturasse l'alito e l'anima del mondo – sembrerebbe sconsigliare l'uso di mezzi forzatamente più ristretti.

Ma Guccione, colorista quintessenziale, usa anche la litografia, come la calcografia e, ovviamente il disegno; e li usa non avvicinandosi alla pittura ma rinnovando il suo repertorio poetico nel diverso linguaggio.



Tra le peculiarità della litografia sono la relativamente più limitata gamma dei colori (o la loro meno agevole combinazione) e, soprattutto, il lavoro indiretto, con l'ineliminabile intervento dello stampatore. Ci sembra contraddire tutti i processi operativi di Guccione e specialmente il suo serrato tu per tu con l'opera, quasi essi, lui e l'immagine, crescessero e vivessero insieme uniti nello stesso respiro. E nei fatti la contraddizione c'e; ma Guccione piega i fatti.

Il colore litografico non è il colore ad olio; oltre alla sua diversa composizione, consistenza, manipolazione, va anche detto che l’artista, mentre lavora, non lo vede; secondo la sua esperienza egli lo prefigura.

L'immagine nasce in bianco e nero. Ma bisogna aver visto Guccione piegato sul torchio in attesa che il foglio ne venga staccato, o appunto sul foglio, pensoso, muto; e poi di nuovo sulla pietra (o sulla lastra che ne fa le veci) a raschiare, ridisegnare, sagomare; bisogna averlo visto per comprendere come egli non rinunci in nulla, nonostante la maggiore complessità strumentale, alla sua esigentissima natura poetica. E interviene qui la figura dello stampatore. Guccione corregge direttamente il disegno ma non il colore, eppure è il colore la sua arma. Come quando dipinge, l'artista sembra guardare l'immagine che viene nascendo ma guarda in realtà quel luogo inafferrabile dove i suoi aneliti segreti prendono forma. Ed è lì che lo stampatore deve sapersi calare. Egli diventa alter ego dell'artista, fonde ma non sovrappone la propria sensibilità a quella di lui, capisce dove lui vuole arrivare. Aggiungi qui una punta di giallo, dice Guccione, più chiaro, o più scuro, più freddo, caldo. E lo stampatore si fa mano di lui, pennello, quasi pensiero.

Non si guarda una litografia come se fosse un quadro. I fogli del maestro siciliano, superbi, nascono dal medesimo ceppo poetico donde nasce la pittura, danno emozioni equivalenti – eppure diverse. Quando negli anni settanta, ripetendo il soggetto di un suo quadro memorabile, Guccione disegnava l'auto seminascosta nell'ombra, sullo sfondo delle colline che si susseguono tra Cava d'Aliga e Scicli, nessuno avrebbe chiesto o chiederebbe al foglio le trasparenze o le vibrazioni del dipinto, il calore della pittura, come alla pittura non si chiederebbe l’assorbente della compattezza della carta o la metafisica impenetrabilità del colore litografico; ma egualmente intensa e di nuovo irripetibile è la magia del silenzio, lo sgomento dello spazio, la sospensione dell’animo.

Le litografie di Daumier erano già famose, centocinquant’anni fa, e non si sapeva –allora- che la vera grandezza del francese risiedeva nella pittura.

Oggi si considera, giustamente, Guccione il maggiore pittore italiano vivente, ma, altrettanto giustamente, egli va considerato, e da almeno trent’anni, il più grande nostro litografo.




Guido Giuffrè





Studioso e critico d’arte, ordinario di storia dell'arte nell'Accademia di Belle Arti.

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