Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca
Sul selciato abbagliante di sole Gesualdo Bufalino appare quasi un parafulmine di luce, segaligno e sobrio per conformazione fisica e vestiario, al contrario della sua scrittura ricercata, sofferta, barocca. Bufalino, intervistato da un cronista che lo segue passo passo lungo un bellissimo cortile siciliano, parla della morte. L'autore di Dicerìa dell'untore (Sellerio, 1981) spiega con magnifica eloquenza come il trapasso si accetti con più facilità nell'acquerugiola delle nebbie del nord, mentre appaia come uno scandalo nella sua terra, dove la vita spacca gli argini con una natura prepotente. Questo è uno dei pochi spezzoni in cui lo scrittore siciliano appare nel bel documentario Auguri don Gesualdo, (libro più dvd, Bompiani, Milano, pagg. 120, €20,00) con cui l'artista e conterraneo Franco Battiato celebra il novantesimo anniversario della nascita di Bufalino, che ricorre il 15 novembre. Battiato preferisce raccontare il romanziere attraverso interviste a persone che lo conobbero e gli furono vicine. Si delinea la figura di uomo coltissimo, tormentato nell'anima e nella scrittura, ma emergono anche alcuni tratti meno nobili e piccole cadute di stile. Il pittore Piero Guccione, che fece molte incisioni per i libri dello scrittore, lo tratteggia come un intellettuale solitario, non buono, arroccato nel suo mondo, intollerante verso l'ignoranza. Guccione, nel ricordare l'ammirazione incondizionata che Bufalino nutriva per Sciascia, quasi un invaghimento fanciullesco, racconta ridendo il gesto di stizza con cui Bufalino manifestò l'indignazione per un povero meccanico che non conosceva lo scrittore di Il giorno della civetta. «Stimare una persona non significa magnificarla - racconta Battiato -. Bufalino era un grande del suo tempo, era conscio della sua superiorità. I suoi forti difetti, diventavano pregi infantili». Battiato conobbe l'autore prima letterariamente. «Trovai in Argo il cieco una grazia dionisiaca che sconfinava nell'eros, una pennellata impressionista della Sicilia». L’incontro avvenne nel '94 in occasione di un'esposizione pittorica di Battiato, di cui Bufalino fece una generosa presentazione. «Mi prese sottobraccio in un gesto tipicamente siciliano e ci allontanammo dalla folla. Mi chiese di portare i saluti a Sgalambro, dicendo che lo leggeva sempre, anzi ogni tanto perché era veramente tosto». Anche il filosofo siciliano, già paroliere di Battiato, racconta tra le vestigia della storia siciliana il suo rapporto con Bufalino. L'inquietudine nella scrittura di quest'ultimo, da cui si evince la maniacalità del personaggio, traspare nel racconto di una editor, che evoca le continue modifiche dello scrittore ai margini del testo, con elenchi di parole. L'esempio di questa angoscia letteraria è il romanzo di esordio Diceria dell'untore, che narra la "vicenda in parte autobiografica di un amore nato in sanatorio nel dopoguerra. Come l'autore stesso confida a Sciascia, il romanzo fu pensato negli anni Cinquanta, scritto nel '71 e poi sottoposto a continue revisioni fino all'81 quando vinse il Campiello con il libro. Un'insicurezza che altalenava all'alta concezione di se stesso: diceva senza veli che le sue creature non solo avrebbe voluto scriverle, ma anche impaginarle. Se poi suggeriva un titolo, aveva pronte decine di alternative. Un atteggiamento e uno stile che ricordano Gadda, visto che anche l'ingegnere lombardo aveva, come l'insegnante di Comiso, un gusto particolare per gli elenchi, oltre che per lo stile sovrabbondante ed elaboratissimo, ricco di termini e vocaboli anche inusuali. «L'ansia stilistica di Bufalino - spiega Battiato - era dovuta alla depressione esistenziale che lo attanagliava. La scrittura lo distraeva dal suo male di vivere». In Bluff di parole (Bompiani, 1994), una specie di zibaldone bufaliniano, l'autore scrive : «Oscillo sempre tra due posizioni estreme e contrarie: se scrivere sia solo un giocattolo, una medicina, insomma un succedaneo che aiuta a subire la vita; oppure il senso segreto d'essa, la sua pia giustificazione...». Don Gesualdo arrivò al successo a 61 anni, tardi come altri conterranei Consolo, Camilleri e forse anche per questo riuscì a conservare sempre una parte ingenua. «Ricordo che mi mandò l'adattamento di una canzone di Charles Trenet "Que reste-t-il de nos amours?" tutta con rime baciate, che a prima vista trovai insopportabile -racconta ancora Battiato -. Per farlo contento decisi di registrare una mia prova su cassetta, cambiai completamente idea e gliela mandai. Una mattina all'alba sentii Bufalino, ospite a Radio Tre, annunciare il mio pezzo con le sue parole. Provai per lui una grande tenerezza e dopo la sua morte inserii il brano in un disco». Sapeva essere anche scontroso, soprattutto coni giornalisti, a cui soleva fornire non solo le risposte, ma anche le domande. «Una volta gli telefonai, mentre ero a Lisbona - ricorda Battiato -. Era infuriato contro un critico, che non aveva capito il suo punto di vista sulla questione
meridionale». Ma Bufalino non nascondeva i lati bui del suo carattere. Si definiva un malpensante e così intitolò un suo famoso libro edito da Bompiani nel 1987 in cui scrisse: «Metà di me non sopporta
l'altra e cerca alleati».
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