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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Il presepe di Monterosso, museo etnografico vivente

Monterosso Almo - In un dedalo di strette e tortuose viuzze che dipartono dalla Piazza Sant’Antonio, tra archi, “dammusa” e serpentini scalini del suggestivo quartiere Matrice, ci si immerge nel passato, fatata atmosfera di luci, suoni, colori e odori d’altri tempi.

Si rinnova anche quest'anno la magia del Presepe vivente di Monterosso Almo, che sarà allestito il 26 e 27 dicembre, e nei giorni 1, 3 e 6 di gennaio. Giunto alla sua trentunesima edizione, vanta una tradizione che lo pone tra i più longevi di tutta la Sicilia, insieme a quello di Custonaci (Trapani).

Sono piccole scene di vita quotidiana, antichi mestieri risalenti ai primi del 900, ricostruiti integralmente all’interno di un paesaggio naturale autentico. “I curdari”, “u firraru”, “i cantastorie”, “a sirinata”, “u ’ppuntapiatti”, “u cirnituri”, “u panararu”, “u scarparu” e decine di altre figure ritornano magicamente in vita negli ambienti in cui vivevano effettivamente fino a cinquant’anni fa.

Appena entrati nel percorso, l’atmosfera natalizia, che già si assapora in tutto il paese, si riempie, di voci, di vita e di sapori remoti. L’aria invernale odora d’antico e lo sguardo si posa incuriosito sulle tantissime botteghe artigianali, riprodotte magistralmente dentro piccoli e caratteristici anfratti. Come in sogno, centinaia di abitanti, con abiti particolari, rievocano usi e costumi della società rurale: artigiani, massari e contadini sono già a lavoro.

Ecco la bottega dello scalpellino che con sapienza artigiana plasma la dura pietra. Laggiù nel bugigattolo l’appuntapiatti ricuce con l’antico attrezzo i piatti rotti, mentre il forno emana un forte odore di pane appena sfornato. Lì accanto è l’osteria dove, al suono della chitarra, della fisarmonica, del tamburello, si cantano allegramente, tra un bicchiere di vino e l’altro, motivetti della tradizione siciliana, e poi “u curtigghiu”, dove le donne sedute sull’uscio, intenti ai lavori domestici, chiacchierano, ora in tono sommesso, ora a pieni polmoni, mentre gli uomini ripristinano i propri attrezzi del mestiere. Scope e corde balzano fuori velocemente dalle mani esperte dei capaci contadini.

Petulanti comari spettegolano e sciorinano indovinelli e modi di dire, mentre i bambini giocano sotto il vigile sguardo materno. “U ricuttaru” intanto ha già pronte “cavagne” e “vascedde”, e più giù “a calia” scoppietta nella sabbia incandescente. Uno stanzino riproduce “a famigghia”, fulcro e cuore della civiltà agricola ed artigianale dei nostri nonni, attraverso arredi e suppellettili del tempo, accanto “u firraru” batte sull’incudine il martello. Le ricamatrici fanno sfoggio della loro sapienza artistica, eseguendo splendidi ricami, tramandati dall’antica bravura delle nonne, su lenzuola, tovaglie, camicie fregiando pizzi all’uncinetto.

Nel frattanto l’asinello guidato da San Giuseppe, con in groppa Maria, e subito dopo i Re Magi con il seguito, attraversano la Piazza Sant’Antonio tra due ali di folla in attesa. Una dolce melodia natalizia investe il visitatore, preludio del più grande spettacolo della natività. È all’interno di una splendida grotta naturale che ci accoglie il caldo sorriso del Bambin Gesù, tra il bue e l’asinello, Maria e Giuseppe e i Re Magi in adorazione, insieme a decine di pastori, contadini e povera gente. In tale miscellaneo e realistico scenario si è quasi portati a chiedersi se non si sia tornati indietro al tempo dei miracoli.
Articolo tratto da: http://www.sciclinews.com

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