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La scomparsa di Patò - la recensione   C'è un Camilleri extra Montalbano, ed è quello che preferiamo. Quello che racconta piccole storie lontane che diventano metafore di un paese, e che compone libr…

La scomparsa di Patò - la recensione

 

C'è un Camilleri extra Montalbano, ed è quello che preferiamo. Quello che racconta piccole storie lontane che diventano metafore di un paese, e che compone libri come fossero collage di documenti di epoche solo in apparenza defunte. Certo oggi è più difficile scomparire, ma a fine Ottocento, se uno stimato e annoiato membro della sua comunità, farabutto d'indole, accecato dalla passione, avesse voluto farlo, sarebbe stato difficile ritrovarlo: niente Ris, niente Chi l'ha visto?, niente internet e Facebook e - soprattutto - nessun villaggio globale in cui tutti sanno (e si fanno) i fatti di tutti. Ma nonostante le differenze, l'ieri e l'oggi in storie come La scomparsa di Patò appaiono sorprendentemente attuali: oggi il potere non manda velate minacce ai sottoposti per cambiare una realtà che non gli piace, ma interviene direttamente emanando editti televisivi e telefonando direttamente nelle procure. Ecco perché Patò, nipote raccomandato dello zio senatore del Regno, marito di sua nipote e maschera pirandelliana la cui vera essenza è ignota ai più, finisce per suscitare anche simpatia, perché in fondo, "se ne stracatafotte" di tutti, per dirla col linguaggio del libro, e sceglie la propria felicità privata.

 

Non era facile portare sullo schermo questa storia, dare voci e accenti ai suoi protagonisti, e non tutte le parti del film sono all'altezza del libro (ad esempio ci immaginavamo molto diversa la Principessa, e il film si gioca un po' troppo bruscamente all'inizio l'esilarante scena del coito dei contadini in cappella e dello svenimento della beghina), ma a parte alcune cadute di tono, la visione del regista esprime con fedeltà quella del libro. Abbiamo apprezzato ad esempio la decisione di ometterne le parti meno credibili o comunque superflue ai fini della narrazione, come le lettere dell'astronomo e dell'emulo di Escher inglesi), e di inserire le testimonianze dei vari medici e speziali all'interno di siparietti, ognuno nel suo habitat. Bella anche l'idea di far vedere la ricostruzione dei due investigatori, tanto lucidi e chiari nel loro lavoro, da condurci per mano in un tableau vivant, e farci toccare con mano quello che è successo, e che parenti, preti e politicanti preferiscono continuare a ignorare.

 

Mortelliti accentua la lettura politica della storia scrivendo una bella canzone che accompagna i titoli di coda e viene cantata da Neri Marcorè e Danilo Formaggia (ottimo tenore, che ha il ruolo del Marchese). Il film è inoltre ben recitato dalla coppia comica Casagrande/Frassica che omaggia Totò e Peppino (ma è un inchino garbato, non una citazione scontata) e non va mai sopra le righe, ed è arricchito dall'apparizione di un Patò, presente solo in effigie nel romanzo, che ha il volto e il fisico “impiegatizio” ma sornione del trasformista e succitato Marcorè, e da due splendidi cammei: la “buttana” di Guia Jelo alle prese con una incredibile e velocissima tirata in dialetto, e il saggio becchino chiacchierone del sempre grande Roberto Herlitzka, un attore capace di dare lustro a qualsiasi pellicola a cui accetti di partecipare.

 

La scomparsa di Patò, pur non essendo un capolavoro, è un film molto gradevole che vale la pena di vedere. E se non avete letto il libro, un consiglio: correte a farlo. Anche se, come chi scrive, trovate un po' ripetitivo Montalbano. Apprezzerete il fine intelletto e la cultura di uno scrittore capace di lavorare in punta di fioretto e riderete con l'amaro in bocca, constatando come, dalla Sicilia del 1890 all'Italia di oggi, il nostro paese sembri (sia?) ben poco cambiato.

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