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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Modica e la storia di “Don Nuccenziu Pluchino”, da semplice operaio a grande imprenditore edile

Nato a Modica il 1 maggio 1911, da una dignitosa famiglia, proveniente
da operai “industriosi”, Innocenzo Pluchino era
l’ultimo dei tredici figli (alcuni dei quali morti prematuramente) di
Raffaele e Concetta Gugliotta, l’uno apprezzato scalpellino e l’altra
timorata casalinga. Dalla abitazione di Via Posterla 11, ai piedi del
Castello, nei pressi della Chiesa di S.Maria di Betlemme, il giovane,
dopo i primi studi elementari, imparò rapidamente la dura lezione del
sacrificio, collaborando con il padre nel sostenere la numerosa famiglia
che, successivamente, si trasferì in Via Tremilia, poco distante dal
convento dei Cappuccini.
Alla morte del padre (1930), il giovane Innocenzo, divenne
indispensabile per il sostegno economico dei familiari. Nel 1936 sposò
Carmela Leocata, che gli diede, dal 1938 al 1948, ben cinque figli
maschi, tutti nati in Via Tirella, dove la nuova famiglia era andata ad
abitare. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, andò a lavorare
nell’edilizia a Bengasi, conquistando ben presto come caposquadra il
rispetto e la stima dei suoi compagni di lavoro.
Durante la guerra fu chiamato alle armi e svolse con onore il servizio
militare a Caltanissetta, in qualità di portaordini. Dopo la guerra
riprese il suo mestiere di apprezzato scalpellino, i cui servigi
venivano sempre più richiesti. In tal modo riuscì a creare una impresa
edile nota in tutta la Provincia di Ragusa per la serietà e la qualità
del lavoro.
Di idee sinceramente democratiche, innamorato di Modica, diede un valido
contributo alla crescita civile ed economica della comunità modicana,
lavorando instancabilmente e sostenendo ogni iniziativa sia politica che
sociale utile per la Città.
Fu Consigliere del Comune di Modica, e pur nel suo proverbiale riserbo (
era uomo di poche parole, ma le sue parole pesavano come la pietra che
era abituato a lavorare) era dotato di un naturale equilibrio di
saggezza e ponderatezza che tutti apprezzavano. Il suo modesto ufficio,
nella prima traversa di Viale Medaglie d’oro, composto di un’unica
stanza a pianterreno per consentire ai suoi operai un contatto immediato
e senza disagio, era meta ininterrotta di una umanità composita, che
andava dagli operai ai professionisti, dai politici ai letterati ( tra
cui i compianti Franco Libero e Arnaldo Belgiorno, Raffaele Poidomani,
Giovanni Modica Scala, etc.etc.); a tutti Innocenzo Pluchino dava il suo
sostegno morale e civico, il suo conforto umano, sempre interessato ai
problemi e alla qualità della Città.
Per tutti, per i suoi operai, per i poveri, aveva, con grande umanità e
rispetto, parole di amabilità e incitamento, consigli per risolvere
problemi che spesso, per riserbo, venivano confidati solo a lui.
L’amore per Modica in lui fu sempre vivo: nelle strategie politiche
provinciali, che talora rischiavano di penalizzare la sua Città, si
batteva arditamente per ottenere equa considerazione, scomodando spesso
anche politici e intellettuali.
La sua intuizione che una direttrice dello sviluppo urbanistico della
Città, nel dopoguerra, passava per la copertura degli alvei, ne fece un
sostenitore deciso a tutti i livelli, fino a quando fu realizzato il
Viale Medaglie d’oro, che vide anche ad opera sua la creazione di un
Cineteatro, che alla città diede, purtroppo per pochi anni, l’occasione
di vivere una stagione cinematografica, teatrale e operettistica
indimenticabile.
Educato alla fede cattolica (era devotissimo della Madonna delle Grazie,
e ne ricostruì e ampliò la Casa del Pellegrino, adiacente al
Santuario), educò i figli a rispettare tutte le istituzioni pubbliche,
particolarmente quelle religiose. Invitato, in una circostanza, a
demolire la Chiesa di S. Martino per costruirvi un palazzo, aveva
risposto decisamente : “Io le Chiese le riparo, non le demolisco!”,
memore di avere lavorato da giovinetto con il padre a comporre i fregi
della Chiesa del Sacro Cuore della Sorda (come testimoniava il compianto
Parroco Rizza) e, successivamente, da operatore edile, di avere
contribuito a ristrutturare Chiese, conventi e canoniche di Modica.
Il suo contributo per l’abbellimento della Città, per le manifestazioni
cittadine, per le iniziative che davano lustro a Modica e per le opere,
anche letterarie, che rievocavano la storia di Modica, fu sempre
generoso e solidale e senza pregiudizi personali o politici..
Era di animo nobile e generoso, rispettoso di tutti; si fece sempre
carico di tutti i parenti che, per una disgrazia o un’altra, ebbero
bisogno di aiuto economico e morale; favorì sempre i giovani e coloro
che volevano intraprendere attività di commercio o professionale;
incoraggiava e sosteneva le famiglie che stentavano a darsi un avvenire;
mediava situazioni conflittuali, facendo rappacificare coloro che gli
si rivolgevano per un giudizio amichevole; indirizzava sempre sulla
buona strada non solo i figli, ma anche tutti i giovani che, per motivi
di lavoro o di collaborazione, avevano contatti con lui.
I suoi operai, e poi chi aveva maggiore confidenza con lui, lo
chiamavano ” U mastru”, “U capumastru”, “U principali”, “Don Nuccenziu”,
e, scherzosamente, “Patri Nuccenziu”.
La Repubblica lo onorò del titolo di “Cavaliere” prima e di
“Grand’Ufficiale” poi, ma egli continuò a vivere modestamente, fino alla
fine, ricevendo tutti nel suo ufficio, sempre lo stesso a pianterreno.
Morì il 19 luglio 1982, aveva compiuto da poco 71 anni. Fu rimpianto da
tutti, anche da chi lo aveva in qualche modo avversato per i suoi
“difetti” ( ma “i difetti” fanno parte della fragile natura umana). La
Città era comunque più povera, come è più povera ogni città quando muore
un galantuomo.
Fonte:http://www.radiortm.it

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