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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Ragusa - La sciagurata politica estera del Fascismo, sfociata il 10 giugno 1940 nella decisio­ne di far scendere in campo l'I­talia nello scenario della 2ª guerra mondiale, fece sì che sorgesse la necessità di difendere, e quindi for­tificare, i confini nazionali. Tale necessità, a ma­no a mano che gli eventi bellici assumevano un andamento sempre più sfavorevole sui vari fronti, diventava sempre più impellente, e ven­nero quindi apprestate opere difensive in tutti i luoghi in cui era ipotizzabile un eventuale sbar­co di forze nemiche.

Le coste siciliane furono ovviamente fra le più esposte a tale rischio, per la vicinanza con Mal­ta e con la costa africana, e quindi sorsero un po' dovunque trincee, bunker e piattaforme che avrebbero dovuto, nelle intenzioni del regime, contribuire a difendere il “sacro suolo della Pa­tria", fermando sulla famosa "linea del bagna­sciuga" qualunque invasore.

Così già alla fine del 1942 la maggior parte delle opere og­gi esistenti era già stata completata, ed anche la nostra pro­vincia, nelle zone costiere, fu munita di opere difensive di­sposte nei punti rite­nuti più strategici. Naturalmente occor­reva ben altro che qualche bunker o qualche trin­cea per fermare lo sbarco simultaneo di eserciti quali quello americano, inglese, canadese, australiano etc.... ma i mezzi (non solo economici) a disposizione erano molto limitati e quindi non si potè fare di più.

Le opere di fortificazione consistettero quindi in:

- trincee, delle quali molte ancora visibili, come ad esempio quelle scavate negli scogli di Punta Braccetto e del Villaggio Santa Barbara, o scavate nel terreno, come quelle nelle immedia­te vicinanze della discoteca "La Fazenda" a Mari­na di Ragusa (queste ultime destinate a scompa­rire perché la costa in quel punto, alta ed a pic­co sul mare, essendo molto friabile, è soggetta a continui crolli, a causa della azione del mare);

- buche circolari di diametro variabile, sca­vate nel terreno e rivestite in calcestruzzo, a volte coperte da una tettoia mimetica, adatte ad ospitare contemporaneamente due o più persone: tali bu­che si trovano spes­so alternate fra un bunker e l'altro;

- Bunker o case­matte in calcestruz­zo. edificati in zone sopraelevate da cui era possibile dominare un vasto territo­rio, o in punti strate­gici lungo le rotabili;

- basamenti per pezzi di artigliera, di forma circolare, costruiti in calcestruzzo, o addirittura scavati nella roccia, come quello ancora visibile sullo scoglio anti­stante il faro di Marina di Ragusa, presumibil­mente destinato ad ospitare un pezzo di arti­glieria leggera, visto il ridotto diametro.

Oltre alle opere qui elencate, esistenti in più esemplari, vi è un'opera particolare, unica nella nostra provincia: la Colombaia Nigro. Quest'o­pera, dall'aspetto simile ad un grosso bunker (ed in effetti è anche un bunker), era una co­lombaia militare (si faceva molto uso, allora, dei colombi viaggiatori), situata nei pressi di Scicli, sulla provinciale che collega Scicli con le zone minerarie di Castelluccio e Streppenosa. Questa colombaia era una delle 14 colombaie fisse dislocate in Sicilia, e da qui partirono, alle ore 9.55 dell'11 luglio 1943, gli ultimi due colombi rimasti alla volta di Messina. dove giunsero alle 13, compiendo un volo di 175 Km alla media di quasi 60 Km/orari, recando il seguente messaggio: “Da Comando 206ª Divisione Costiera at XVI Corpo d'Armata - Ho l'orgoglio di assicurare V.E. che la 206ª Divisione ba fatto fino all'ulti­mo il proprio dovere. Tutti si sono battuti valo­rosamente cedendo solo per stragrande stuperio­rità nemica. Fanti, artiglieri, gruppo mobile F e tattico Sud hanno gareggiato nel resistere e nel­l'attacco. Non ho più collegamenti con alcuno. Mio Comando sta per essere sopraffatto, Viva l'I­talia! Viva il R! - F.to Generale D’Havet".

Tutte queste opere furono quindi eseguite con i mezzi limitatissimi di cui si disponeva. Il cemento infatti scarseggiava e la manodopera era difficile da reperire: questo non solo perché gli uomini validi erano tutti (o quasi) sotto le armi, ma anche perché la poca manovalanza disponibile. quando poteva, preferiva offrire le proprie braccia all' Esercito Tedesco che pagava meglio, causando le lamentele dei comandanti italiani che, anziché chiedere allo Stato Maggiore un adeguamento delle tariffe da corrisponde­re per i lavori di manovalanza, chiedevano di intervenire presso i Tedeschi perché diminuissero le loro tariffe!

Le fortificazioni avrebbero dovuto esserle dun­que molto più numerose, e se le forniture di ce­mento fossero state quelle richieste dai Comandi Italiani in Sicilia (80 mila tonnellate al mese), i lavori si sarebbero dovuti completare entro il mese di luglio del 1943: poiché però si poteva contare solo su 17.000 tonnellate mensili, si prevedeva, ottimisticamente, la fine dei lavori per il mese di giugno del 1944 (lo sbarco alleato av­venne. come è noto, il 10 luglio 1943).

I bunker o casematte in calcestruzzo costitui­scono le testimonianze più visibili delle opere realizzate in quegli anni, sia per la quantità eli esemplari esistenti, sia per la loro particolare struttura che rende più difficile l'interramento e l'occultamento ad opera della vegetazione, che avvengono invece più facilmente nei confronti delle trincee, delle buche e delle piattaforme.

I bunker esistenti nella nostra provincia, quin­di, tutti rigorosamente costruiti in calcestruzzo, possono essere classificati in tre categorie: quel­li mimetizzati, quelli camuffati e quelli privi di qualsiasi tentativo di renderli meno visibili: per questi ultimi, infatti, la struttura grigia in cemen­to è perfettamente visibile e riconoscibile anche a notevole distanza.

I bunker hanno per lo più una pianta circola­re, ad uno o due piani, con tre o quattro feri­toie ogni piano per sparare, e con la parte su­periore a cupola: la loro forma somiglia molto a quella di un panettone.

I bunker mimetizzati conservano queste stes­se forme classiche ed anche la struttura in cal­cestruzzo: la loro mimetizzazione consiste solo nell'essere completamente rivestiti di pietre di forma irregolare, incastonate nel cemento fre­sco, così da renderli molto somiglianti ai cumuli di pietre tanto diffusi nelle campagne della no­stra provincia (i cosiddetti "muragli"): il risul­tato mimetico è notevole, e solo le feritoie per sparare tradiscono la loro identità. Questi bunker costituiscono una peculiarità tipica della nostra provincia, in quanto legati alla presenza dei muri a secco e dei “muragli", quasi scono­sciuti nelle altre zone della Sicilia.

I bunker camuffati sono invece dei bunker che cercano di somigliare ad altre costruzioni, per così dire "pacifiche", allo scopo di sorpren­dere il nemico ignaro: ve ne sono a forma di abbeveratorio, di serbatoio idrico. di casa can­toniera o di casa rurale. Il camuffamento però, stranamente, non è accompagnato da alcuna mimetizzazione, talchè la struttura in grigio calcestruzzo, perfettamente visibile, vanifica parzialmente il camuffamento (una casa rurale in frigio calcestruzzo, quand’anche provvista di finte finestre, non inganna nessuno).

Un caso unico riguardante la dislocazione dei bunkernel territorio è costituito dalla loro presenza massiccia attorno al perimetro urbano di Santa Croce Camerina (ben 13 bunker, di cui 10 ancora oggi esistenti): il piccolo Comune, infatti, era letteralmente circondato da questa fitta rete di bunker, in numero tale (non riscontrabile altrove) da far ritenere che Santa Croce fosse un punto strategico vitale della cuspide sudorientale della Sicilia. L’ubicazione di tali bunker, oggi per lo più sopravanzati dalla espansione urbana oltre i confini di mezzo secolo fa, ci dà modo di poter valutare quale fosse l’estensione dell’abitato nel 1943.

            Le opere difensive qui descritte non furono però tutte testimoni degli avvenimenti bellici di quei giorni di luglio del 1943: anzi si può dire che solo una piccola parte di esse reca i segni di combattimenti; la restante maggioranza dei bunker, come si può ancora oggi verificare, è rimasta intatta: segno che al passaggio delle truppe nemiche gli occupanti si arresero o, nolto più verosibilmente, erano già fuggiti. Ciò che accadde in quegli anni, infatti, fu la logica conclusione di una guerra cominciata male e finita peggio.

            L’anno 1943 infatti, era iniziato nel modo peggiore per le nostre truppe, ormai in ritirata su tutti i fronti, incapaci di opporre una valida resistenza al nemico. Il morale delle truppe, malgrado i proclami ufficiali, era molto basso: l’equipaggiamento era insufficiente ed antiquato (si combatteva con i fucili del 1891, già utilizzati nella 1ª Guerra Mondiale);  i pezzi di artiglieria erano scarsi e le munizioni insufficienti; i mezzi di trasporto facevano anora molto affidamento su muli e biciclette, mentre i pochi mezzi corazzati facevano sorridere chiunque avesse già visto, anche solo da lontano, un Panzer tedesco o uno Sherman americano; il vestiario era insufficiente: mancavano divise, cappotti e soprattutto scarpo­ni; i viveri seguivano la stessa sorte: i militari ita­liani pativano la fame, così come i civili.

Con queste premesse era difficile pretendere che le nostre truppe potessero (per lo meno pensare) di poter resistere ad uno sbarco nemico. Inoltre sorge spontanea in chi scrive una visione più critica del luogo comune che vede in Adolf Hi­tler il criminale per eccellezza della 2a guerra mondiale: in effetti lo fu, ma bisogna considera­re che se Hitler non ebbe alcun rispetto per la vita degli ebrei e dei nemici della Germania, lo ebbe almeno per i tedeschi e per i suoi soldati, che furono effettivamente messi in condizioni di combattere e di rischiare perfino la vittoria. Il Fascismo e Mussolini, invece, oltre a non avere alcun rispetto per la vita e la sovranità di tante popolazioni da noi aggredite, non lo ebbero nemmeno per gli italiani e per i militari italiani, che furono mandati letteralmente allo sbaraglio in una guerra assurda a cui l'Italia non era assolutamente preparata, economicamente, tecnologicamente e militarmente. Del re­sto, fu proprio Mus­solini a dire di aver bisogno "di qualche migliaio di morti per potersi sedere al tavo­lo delle trattative"!

In seguito, purtroppo, i morti italiani si dovet­tero contare in centinaia di migliaia ma, naruralmente, anche le previsioni non potevano che seguire l'andazzo del disastro generale!

Ad ogni modo, la situazione militare nell' isola al momento dello sbarco era quella descritta, ed in più c'è da aggiungere il fatto che la maggior parte dei soldati italiani di stanza in Sicilia era formata da siciliani: ciò li portava ad avere sem­pre molta apprensione per la sorte dei loro fami­liari e consentiva loro di poter disertare, all'oc­correnza, molto più facilmente. È perfettamente comprensibile, quindi, il fatto che un eventuale sbarco nemico avrebbe costituito automaticamente,  per molti di loro, la fine della guerra: l'u­nica preoccupazione sarebbe stata solo quella di evitare di essere riconosciuti e quindi uccisi o fatti prigionieri. Già da qualche mese prima del luglio 1943, infatti, molti soldati italiani, ufficiali compresi, andavano procurandosi abiti civili, da tenere sempre pronti per ogni evenienza. I sempre più frequenti bombardamenti aerei e, soprattutto, gli avvenimenti dell' 11 e 12 giugno 1943 (la caduta delle isole di Pantelleria e di Lampedusa, i primi lembi di terra italiana caduti in mano al nemico), diedero a tutti la certezza che ormai la finge era imminente, che l'unica cosa saggia da fare sarebbe stata quella di mettere in salvo se stessi ed i propri familiari, e che qualunque esistenza al nemico, realisticamente, avrebbe avuto solo l'effetto di aggravare e prolungare le sofferenze di tutti con ulteriori lutti, rovine e privazioni.

Questo, in effetti, è ciò che si verificò: la resistenza all'avanzata angloamericana in Sicilia fu lasciata quasi esclusivamente ai Tedeschi che, a questo punto. tramutarono in certezze i loro dubbi sulla affidabilità e sulla consistenza degli alleati italiani.

Il quadro fin qui esposto non ha però valore assoluto: non tutti i soldati italiani, infatti, disertarono o si arresero senza combattare: più di 4600 milita­ri italiani morti duran­te la campagna di Sicilia ne sono una tragica  prova.

Ancora oggi, le te­stimonianze dei  combattimenti avvenuti si possono rinvenire su alcune delle opere difensive oggetto di questa trattazione: a Ponte Dirillo, sulla SS 115 fra Vittoria e Gela,  i bunker messi a guardia di quell' importante punto strategico presentano sulle facciate i chiari segni dei colpi ricevuti e, guardando da vicino, si possono ancora notare i proiettili americani conficcati nel cemento. Una lapide collocata sul posto commemora i nomi dei paracadutanti dell' 82a Divisione americana caduti lì in combattimento la notte dei 10 luglio 1943.

Sulla strada fra Scoglitti e Vittoria altri bunker recano ancora chiari i segni dei combattimenti, così come il bunker a due piani posto all'incrocio fra la Comiso - Santa Croce  e la strada che conduce al Castello di Donnafugata. Un altro bunker, camuffato da serbatoio idrico municipa­le. situato all'ingresso di S. Croce Camerina sul ciglio della provinciale proveniente da Comiso, porta ancora visibili i segni dei colpi ricevuti.

Del resto è noto che l'asprezza dei combatti­menti avvenuti a Santa Croce rischiò di causar­ne la distruzione a causa dell' intervento dell' artiglieria pesante delle navi americane, richiesto via radio dai soldati che cercavano di occupare la città e che si trovarono di fronte una resisten­za maggiore del previsto. Solo l'intervento risolutore del parroco, che provvide a far sventolante un lenzuolo bianco in segno di resa, salvò la città dalla distruzione.

Si ha notizia certa, inoltre, di combattimenti av­venuti in contrada Camemi (sulla provinciale Ragusa - Marina di Ragusa), ma sui bunker della zona non se ne riscontrano tracce. Tra l'altro, i lavori di ampliamento della carreggiata stradale hanno causato, diversi anni fa. proprio a Camemi, la demolizione di un bunker camuffato in modo egregio da casa cantoniera, dipinto nel ti­pico colore rosa delle case cantoniere,  che si trovava proprio in piena curva,  sul ciglio destro (in direzione nord) della

strada provinciale. I pochi bunker effettivamente segnati dai combattimenti nella nostra provincia sono quindi localizzabili tutti nella parte occidentale del territorio: ciò perché lo sbarco americano. avvenuto fra Licata e Scoglitti, interessò, sia pure in misura marginale, la parte occidentale del­la nostra provincia, mentre invece lo sbarco inglese avvenne in provincia di Siracusa, sulla costa fra Marzamemi e Pachino. Tutti i combattimenti successivi allo sbarco e non direttamente a questo collegati, o avvenuti nell'entroterra, non interessavano quindi le opere qui trattate che, trovandosi tutte a ridosso della fascia costiera, rimasero fuori dagli avvenimenti dei giorni successivi al 10 luglio.

Chi oggi, a distanza di 50 anni da quei tragici giorni, si trovasse a visitare questi luoghi, non potrà fare a meno di notare che non è stata posta alcuna lapide in memoria di chi perse la vita per compiere il proprio dovere. ed in questo i nemici di allora ci hanno nuovamente battuto: l'unica lapide esistente. a Ponte Birillo, è stata posta dagli americani in omaggio ai loro caduti: noi italiani, in terra italiana, non abbiamo saputo ancora fare altrettanto per i nostri.

 Testo e foto di:

GIOVANNI DIQUATTRO

SILVIO RIZZO
GIOVANNI TIDONA

 

Pubblicato sul n° 2/1996 de “La Provincia di Ragusa” e sul n° 55 di Storia Militare (Aprile 1998)

 

Fonte: http://www.ragusanews.it

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