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Le ragioni del Parco degli Iblei nel territorio di Scicli

  

Aree di interesse storico, archeologico, ambientale, naturalistico, architettonico nella provincia Iblea ne esistono tante, è facile individuarle, quello che diventa difficile è tutelare le peculiari caratteristiche di ciascuna, valorizzarle, farle conoscere e garantire alla collettività la fruizione delle stesse.

Occorre che tali siti, spesso abbandonati, esclusi dal circuito turistico-culturale, siano re-inseriti in una nuova rete di conoscenza e fruizione, attraverso l’elaborazione di modi, strategie di trasformazione ed un diverso approccio alla progettazione. Devono questi partecipare alla vita sociale e culturale del territorio che li custodisce, conferire nuove qualità e soprattutto devono essere integrati in una offerta culturale che valorizzi luoghi, edifici, espressioni dell’architettura e dell’arte, in modo da ricostruire quel palinsesto di esperienze e attività frutto di secoli di interrelazioni umane che costituiscono quello che oggi viene indicato con il termine di paesaggio.

Oggi al nostro territorio ricco di opportunità e di attese, ma fragile nella capacità di valorizzare le proprie risorse e di fare sistema, è offerta la possibilità di muovere i primi passi verso quella forma di sviluppo sostenibile di cui da più di un decennio si parla, di cui tutti da amministratori e cittadini ne siamo diventati consapevoli ed esperti, ma in realtà nel momento in cui ci troviamo di fronte ad intraprendere iniziative concrete in tale direzione, numerosi dubbi, perplessità ed ostacoli sorgono all’orizzonte. Così purtroppo sta accadendo alla nostra comunità all’inizio del percorso istituzionale e disciplinare che dovrebbe portare alla costituzione del Parco (nazionale o regionale) degli Iblei. Da circa un mese attraverso i vari mezzi di comunicazione si è letto delle varie diatribe nate tra amministrazioni pubbliche, associazioni di categoria e ambientaliste sul pro e il contro la costituzione del parco. Su tale materia solitamente i “conflitti” nascono quando le comunità locali percepiscono l’area protetta come un vincolo (e quindi un’oppressione) sul loro uso del territorio e, al tempo stesso, i decisori istituzionali percepiscono nell’aumentare delle aspirazioni della popolazione locale, sul proprio territorio, una delle maggiori minacce alla sostenibilità dell’area protetta. Paradossalmente nella nostra comunità iblea le parti sembravano invertirsi e solo dopo vari chiarimenti gli enti deputati a far nascere tale nuova istituzione si sono seduti intorno al famoso tavolo..……, infatti si legge con soddisfazione da una news del 02/03/2010 pubblicata sul sito della Provincia Regionale di Ragusa che su mandato del Ministero dell’Ambiente tale ente ha ricevuto come era auspicabile, l’incarico di avviare le consultazioni tra i vari comuni iblei per capire la volontà di quanti fossero interessati al progetto e quindi proporre aree dei propri territori da inserire nel futuro parco. La nota conclude che i comuni che hanno mostrato interesse risultano essere quelli di Ragusa, Monterosso Almo, Chiaramente Gulfi, Giarratana e Modica, invece Comiso, Santa Croce Camerina e Scicli si sono dichiarati non interessati territorialmente al parco. Mentre per i comuni di Comiso e Santa Croce Camerina la scelta di rimanere fuori in questa prima fase di concertazione e forse anche per il futuro potrebbe essere giustificata, non altrettanto valida e motivabile invece sembra la scelta fatta dalla nostra rappresentanza sciclitana che se confermata mostrerebbe una vera miopia sulle ricadute positive, in termine di immagine, di crescita culturale, di nuove opportunità occupazionali e incremento dei flussi turistici per la nostra città. Auspichiamo invece che tale scelta sia dovuta al fatto di voler avviare un confronto con il consiglio comunale, le associazioni culturali, di categoria, ambientaliste e tutti i vari stakeholder che operano sul territorio e quindi attraverso la partecipazione e l’ascolto, fare nascere all’interno della collettività sciclitana una “coscienza” del parco che non sia imposta “dall’alto” ma da scelte costruite e maturate “dal basso”. In attesa quindi di numerosi incontri e iniziative sul tema, si espongono di seguito alcuni spunti di riflessione.

Si può partire dall’infondato allarmismo che si potrebbe diffondere sulla possibilità di pericolo di “ingessamento“ del territorio. In realtà sarà il Comune a indicare le parti da sottoporre al vincolo e Scicli presenta aree di interesse paesaggistico e naturalistico già vincolate sia dal P.R.G. che dalla carta dei Beni Paesaggistici redatta dalla Soprintendenza per i beni Culturali e ambientali di Ragusa ai sensi del Codice dei beni Culturali e del Paesaggio (d.Lgs. 22/01/2004, n. 42). Tali aree riguardano per la maggior parte il sistema delle “Cave”, l’alveo del fiume Irminio, il sistema dei siti archeologici. A tal proposito si porta a conoscenza che il Piano Territoriale Provinciale della provincia Regionale di Ragusa propone tra le sue azioni l’istituzione, ai sensi della L.r. 98/81 e della L.r. 14/88, della costituzione di un “ Parco regionale delle Cave del fiume Irmino e della fiumara Modica-Scicli” esteso all’insieme delle valli fluviali ed al sistema degli insediamenti storici di Ibla, Modica e Scicli individuando nel comune di Scicli la sede del primo nodo museale del paesaggio ibleo. Tutte tali aree quindi già vincolate e non da vincolare ulteriormente se inserite all’interno del perimetro del “Parco degli Iblei” potrebbero invece usufruire di canali preferenziali per il reperimento di fondi che permetterebbero finalmente la loro fruizione e valorizzazione.

Ritornando alla motivazione di questa aspettativa in tale fase di adesione all’ente parco in quanto a “comune territorialmente non interessato” si vorrebbe capire perché i carrubeti, gli oliveti, i mandorleti, gli agrumeti, le masserie, i muri a secco, il falco pellegrino, gli aironi, presenti nelle campagne modicane e ragusane hanno valenza paesaggistica mentre quelli sciclitani no, e chi lo ha stabilito?

Una volta che un Parco è nato per la sua fruizione e valorizzazione è necessario creare infrastrutture e servizi a corredo, piste ciclabili, freeway, sentieri, recuperare casolari per la ricettività e la logistica, mettere in sicurezza tutto il territorio e quindi poter meglio monitorarlo e prevenire calamità naturali, tutte attività legate al settore dell’edilizia e delle costruzioni. Per non parlare del sistema agricolo e zootecnico che potrebbero trarre innumerevoli vantaggi di immagine e quindi nelle vendite con prodotti aventi un “marchio” del parco. Infine ancora si aprirebbero nuove opportunità nel settore turistico legato non solo alle architetture barocche, ma anche al settore dell’ecoturismo che vede come attività trainanti l’escursionismo, il trekking, il geoturismo e il cicloturismo.

La nascita del sistema “Parco degli Iblei” alla fine grazie alle attività di ricerca e di divulgazione che si intraprenderebbero contribuirebbe alla formazione di una coscienza collettiva nuova, basata sulla condivisione di responsabilità e rispetto del territorio.

Nel 2002 Scicli è stata inserita nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, grazie alla visione lungimirante di alcuni cittadini che con passione e sacrificio hanno creduto in tale progetto, consegnando alla città un prestigio di cui tutti oggi siamo fieri. Non avere la consapevolezza e non lottare altrettanto per far sì che la città avendone tutti i requisiti entri a far parte del “Parco degli Iblei” sarebbe un grave torto per le generazioni future, il percorso non è facile, poiché in tale processo si presuppone che gli attori pubblici si assumono la loro parte di responsabilità in caso di successo o insuccesso della gestione nonché dividere i costi e i benefici che ne risulteranno, ma tentare è doveroso.

 

Carmelo Galesi

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