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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

 Il periodo pasquale inizialmente, durante la Settimana Santa, ci immerge in un clima di sofferenza e di dolore per la Passione di Cristo. Ne sono testimonianza le processioni penitenziali per l’Addolorata e per il SS.mo Crocifisso. Può capitare che il fedele, distraendo lo sguardo dall’immagine di Cristo morto, lo riveda nel credente che gli sta accanto, che porta il travaglio ed il dolore impresso nell’animo per la perdita di un proprio caro. Allora veramente le processioni si trasformano in un viaggio di fede. C’è fede in queste processioni con la musica sacra che si diffonde per l’aria. Basta tendere l’orecchio per capire da dove provenga e da che parte del borgo andare per unirsi al corteo. Un tempo singolare era “U lamientu”, antica Trenodìa melismatica sciclitana itinerante, che si cantava per le vie cittadine la sera precedente la festa dell’Addolorata. Essa ben si assimila agli antichi canti funebri, di cui hanno lasciato testimonianza i poeti lirici alessandrini Pindaro e Simonide, naturalmente filtrati dalla lirica trovadorica della “lamentatio”. Per la presenza del latino nel testo dello “Stabat”, le parole dal popolo venivano storpiate, frammezzate da termini dialettali. I fedeli, pur cantando a modo loro, contribuivano lo stesso, grazie a particolari modulazioni e cadenze, assonanze e consonanze, a produrre un ritmo corale melodico, un singolare accordo melismatico, come se vi fosse massimo rispetto del testo. Si ripeteva così il miracolo del popolo che riusciva a cantare i canti gregoriani in latino, senza conoscere il latino. Non tutti partecipavano al coro con atteggiamento mistico, alcuni poco “compos sui” storpiavano volutamente le parole, creando disarmonia. Per questo e per altri motivi la manifestazione di fede volse al declino. Ora che i tempi sono maturi, i cori parrocchiali potrebbero coalizzarsi per rivitalizzarla. A Scicli fino al 1882 nucleo centrale della Settimana Santa era la chiesa di Santa Marìa La Piazza, dove la Congregazione del SS.mo Sacramento, coadiuvato dai Nobili Bianchi di San Giovanni, aveva il compito di curare il culto eucaristico delle “Quarantore”. Un punto di contatto interessante tra la tradizione classica e quella cristiana è offerto dalla somiglianza tra il culto del giovane Adone e quello di Cristo Risorto. Al dolore per la morte di Adone seguiva la gioia per il suo ritorno in vita, risuscitato grazie alla intercessione di Afrodite. Anche nel mondo cristiano si passa dal dolore per la Passione di Cristo al tripudio per la Resurrezione. Come le piante si lasciano spogliare dal vento gelido per poi sperimentare la rinascita al primo soffio della brezza calda primaverile, così gli uomini dopo il periodo di penitenza quaresimale, tripudiano perché la sofferenza si è rivelata la porta della gioia. Richiamati dalla memoria di quando erano bambini, ritornano in città quanti sono emigrati per il diritto dovere di vedere la festa, che appartenne al padre, al nonno. In questo giorno il fedele, ottenebrato dal sonno dello spirito, si risveglia, si spoglia della veste di tutti i giorni e ne indossa una nuova, modellata sull’immagine di Cristo. A Scicli, nel Settecento, il mistero pasquale era incentrato, come a Modica ed a Comiso, sul tema dell’incontro di Marìa con Gesù Risorto. Ne è testimonianza il gruppo statuario della chiesa della Consolazione con Cristo posto accanto alla Addolorata in atto di saluto. Anche nella chiesa di santa Marìa La Nova nel Seicento (cfr.“Giuliana”a cura del canonico Augi, Archivio chiesa di San Matteo. Istanza del 9/4/1689, foglio 8-9, vol.10, quaderno II) e sicuramente fino alla Transazione del 1738, il giorno di Pasqua si portavano in processione da Santa Marìa La Nova a Santa Marìa La Piazza, per essere rientrate il martedì, due statue: quelle dell’antico Cristo Risorto e di Nostra Signora, come per altro attesta il Carioti (cfr.”Memorie sacro storiche sciclitane” vol. II. pp.629 ss.).La situazione cambiò quando alla fine del Settecento venne scolpita dal maestro Francesco Pastore di Catania l’attuale statua di Cristo Risorto, prima erroneamente attribuita al Civiletti. Si tramanda che lo scultore, impazzito di gioia perché la statua, parlando con voce celestiale, gli manifestò la sua divinità, abbia esclamato ripetutamente “Gioia! Gioia! Gioia!”, seguito dal grido del popolo, che gli attribuì anche gli epiteti di “Uomu Vivu” e di “Tri Jta R’oru,” con evidente allusione alla  natura umana e divina ed al dogma della Trinità. Il popolo memore della gioia con cui gli avi salutarono l’evento continua a tributarGli onori, che a volte travalicano il limite. La gioia degli Sciclitani per la festa di Pasqua è simile a quella che accompagnava le feste classiche nella pienezza della stagione primaverile, quando il Dio Sole, Deus invictus, dopo aver lottato con le tenebre, al primo tepore primaverile prendeva il sopravvento e risuscitava radiante di luce con immensa gioia degli uomini. Scomparso il significato apotropaico della festa, l’attenzione del popolo si incentra tutta su Cristo Risorto, che irradia gioia dagli occhi e dal viso, con il Suo singolare aspetto di “Uomu vivu”, risuscitato dopo la morte. ....

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