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Ceci, tra il siciliano ciciri e l'angioino sisirì

Ogni tanto gli iblei perdono il loro tradizionale aplomb e danno in escandescenze

Ceci, tra il siciliano ciciri e l'angioino sisirì

Ragusa - Il prossimo 5 aprile saranno esattamente settecentotrenta anni da quando gli iblei diedero una manifestazione della loro vera natura. Ovvero, e nessuno si scandalizzi, gli iblei sono notoriamente una popolazione civile, calma e tranquilla. Ma ogni tanto succede qualcosa. Nel gergo dialettale si potrebbe dire “ci pigghiuni i cincu minuti”, oppure, “c’avi a musca”, o anche, nel caso di finti educati, “sciu o naturali”:

Certo è che ogni tanto, dicevamo, gli iblei perdono il loro tradizionale aplomb e danno in escandescenze. È successo a Ragusa nel 1945, con i moti del “non si parte”. È successo nel 1837, in occasione della epidemia di colera, a Modica e a Comiso. Ed è successo anche in una data importantissima per tutta la Sicilia (ed io aggiungo per tutta la Storia europea), aprile 1282. data storica e sempre ricordata: i Vespri siciliani.

Rara, se non unica, manifestazione di orgoglio nazionale e di ribellione allo straniero da parte degli isolani, il celebre periodo di rivolta e violenze era stato diretta conseguenza – secondo i più accreditati storici – della politica di Carlo D’Angiò. Dopo lo scoppio della rivolta, nella celebre vicenda dello sposalizio palermitano, anche il resto dell’Isola si sollevo contro gli angioini. Il 5 aprile 1282 la rivolta antifrancese scoppia anche a Scicli, a Modica e a Ragusa.

Le tre città più importanti del nostro circondario si accanirono contro le guarnigioni francesi, sterminandone sia i componenti angioini che i siciliani al loro servizio. Anche gli iblei, come il resto dei siciliani, si misero sotto la protezione del Re Pietro Terzo d’Aragona. A Ragusa la ribellione fu capeggiata dal ragusano Giovanni Prefolio, che assaltò insieme a moltissimi cittadini il presidio francese uccidendo tutti i soldati. A Modica la sommossa fu guidata da Federico Mosca; i modicani, cacciando i francesi dalla città, nominarono lo stesso Federico Mosca governatore.

Quando si dice che i siciliani sterminarono i francesi non si utilizza un eufemismo. Quello che accadde settecentotrenta anni fa è molto chiaro: i locali, gli indigeni, uccisero tutti i francesi che non riuscirono a scappare. Per riconoscere i francesi che tentavano la fuga si ricorse al famosissimo espediente di mostrare loro un pugnetto di ceci e chiedere di riferirne il nome. I siciliani ovviamente avrebbero detto “ciciri”, mentre gli angioini erano costretti dalla loro lingua a dire “sisirì”. A quel punto scattava l’omicidio – sovente con metodologie particolarmente cruente che non è il caso riferire.

Oggi siamo amici dei francesi. E in occasione dell’anniversario, funesto per loro e glorioso per noi, si potrebbe pensare a rinnovare i vincoli di gemellaggio tra la Provincia di Ragusa e il Dipartimento de l’Oise. Una occasione per “fare pace” dopo settecentotrenta anni.

Saro Distefano

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