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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

 

 

 

 

 

 

Culicchia: Col ferribbotte nel mio Far Sud
“Sicilia, o cara. Un viaggio sentimentale”. Edizioni Feltrinell

“Un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo”.


E’ l’epigrafe del nuovo libro di Giuseppe Culicchia, “Sicilia, o cara. Un viaggio sentimentale” (Feltrinelli, 134 pagine, 13 euro).

Esordisce con le parole di Don Vito Corleone, sì, proprio lui, il “padrino”. Che Marlon Brando riuscì a nobilitare al cinema, facendone un personaggio leggendario.

Il primo capitolo è intitolato Favole. Con un incipit biblico: «In principio, la Sicilia fu terra di favole».

Giuseppe Culicchia, scrittore torinese a tutti gli effetti, pur se di padre siciliano, scoperto da Pier Vittorio Tondelli, autore di romanzi di successo (ne citiamo uno: Tutti giù per terra, che pubblicò Garzanti nel 1994 e da cui Davide Ferrario trasse l’omonimo film interpretato da Valerio Mastandrea), in queste pagine racconta il viaggio in Sicilia, che certo per lui non è stato di ritorno, essendo nato altrove, ma di speranzosa andata, effettuato nel 1972, da bambino quindi.

In realtà, sull’onda emotiva dei racconti sciorinati dal padre, delle favole che ogni giorno dalla sua bocca prendevano forma, da quella della maestra severa a quella delle sfilate in uniforme da Balilla, da quella del tutto nello Stagnone a quella delle sere a Capo Boeo o Lilibeo, Culicchia junior è come se in realtà tornasse in un luogo che visceralmente gli appartiene, ascritto a una mitologia famigliare.

I preparativi dunque, lo stato di eccitazione, l’euforia incontenibile, le aspettative che non danno tregua, l’immaginario condizionato dall’affabulazione paterna. Arriva il sospirato giorno, il viaggio sino alla stazione sulla 500, e poi il treno: zeppo di siciliani, manco a dirlo. Le chiac-chiere, i panini oleosi, i rumori della seconda classe, e la voglia di vedere la Sicilia, di avvistarla.

Bisogna ammettere che in queste pagine proemiali, c’è un tocco picaresco che non dispiace: il sapore dell’avventura, il sentirsi quasi un pirata, una sorta di Long John Silver in sedicesimi, pronto a salpare alla volta dell’Isola del tesoro.

Il treno che ondeggia sulle rotaie, e a tratti quasi sbanda, «come la diligenza su cui avevo visto sparare in bianco e nero John Wayne agli Apache o ai Mascaleros, o forse ai Sioux di Ombre rosse». Ma questa patina “avventurosa” sbiadisce sempre più, per lasciare spazio a una valanga di luoghi comuni, a una abbuffata del peggiore esotismo.

Perché è inutile dirlo: il viaggio in treno ti fa subito venire alla mente il Silvestro di Vittorini, col “ferribbotte” che sembra una balena con le fauci spalancate: l’aringa affumicata, il profumo dell’Isola, il cerimoniale dell’accoglienza, i piatti ammanniti.

Nel Far Sud di bufaliniana memoria.





Tags: giuseppe culicchia , Sicilia , o cara. Un viaggio sentimentale , Feltrinelli ,

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