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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca


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All’inizio furono la miseria e la farsa, espressioni dell’ossimoro esistenziale, ad attirare i pionieri del cinema. Così i
pescatori di Acitrezza e le piroette di Angelo Musco irruppero, da apripista, nel mondo della settima arte. Sulla scia, di tutto e di più.

L’Isola ora si guarda nello specchio di celluloide e vede le rughe e le bellezze del suo passato e del suo presente. “Sicilia. Guida ai luoghi del cinema”, di Elena Brancati e Simona Calì Cocuzza (edito da Cinesicilia e Giunti, 200 pagine 23 euro) è il romanzo della nostra vita.

Personaggi e luoghi rivivono in una carrellata di ricordi e di  emozioni. Ci racconta come è cambiata la Sicilia, come è  cambiato il cinema e come è cambiato il suo modo di percepirci. Uno specchio mobile appunto che come una sorta di moviola di ripropone squarci di quel tempo ormai archiviato nel calderone della memoria.

Nelle spiagge i pescatori hanno ceduto il passo ai carnai estivi, la sabbia agli stabilimenti. Il verde quando non è diventato cenere si è riempito di cemento, le città sono diventare autosaloni, le strade processioni sterminate di ferraglia, le campagne deserti di sterpaglia. E sul piano del costume il medioevo dei “carusi” sfruttati, degli appiedati, dei padri padroni, dei mariti re travicelli, delle moglie finte subalterne e vere “comandiere”, è stato soppiantato da una modernità complessa e sfuggente. Un’omologazione per alcuni versi a perdere.

Ne è passata comunque acqua dallo Stretto dal tempo in cui la nordica Marta, la moglie cinematografica di Alberto Sordi, “mafioso” per necessità, insegnava alla cognata sicula l’arte del depilarsi. Ed ancora di più da quando Luchino Visconti, ad Acitrezza per una presa diretta della vita di patron ‘Ntoni e degli altri pescatori di Verga, intitolato poi “La terra trema”, per trovare una ragazza disposta a girare una scena con un bacio ha dovuto cercarla tramite un annuncio sul giornale. Le “attrici” del cast ingaggiate dalla strada si erano rifiutate di essere “svergognate” pubblicamente prestando le labbra all’arte. Ormai si depilano anche i maschi e il bacio è più svalutato dell’euro di questi giorni.

La Sicilia era quindi luogo in qualche misura fuori dal tempo dove filmare da un lato la povertà e dall’altro lato l’aspetto caricaturale della vita. Pensiamo al “Cammino della speranza” di Germi e, all’opposto, al Mastroianni e Saro Urzì di “Matrimonio (e poi divorzio) all’italiana” e “Sedotta e abbandonata”, con una acerba e sensualissima Stefania Sandrelli. E ancora al “San Giovanni decollato”
dell’impareggiabile Totò e ai documentari antropologici della Panaria Film del principe Francesco Alliata e di Cesare De Seta.

È davvero curioso che la magia di tv e cinema abbiano eletto a emblema della sicilianità estrema tre “stranieri”: ieri Domenico Modugno, “Rinaldo in campo” e il sardo Tiberio Murgia “Ferrybotte”, oggi Luca Zingaretti, alias Salvo Montalbano.

I grandi registi che sono transitati dalla Sicilia, ci sono ritornati e ritornati ancora, attratti dall’eccesso di questa terra senza mezze misure, bonacce e tempeste, bagliori e ombre. Visconti appunto, Francesco Rosi, inventore del film-cronaca di denuncia — da “Salvatore Giuliano” al “Caso Mattei” — Pietro Germi, Damiano Damiani, Pier Paolo Pasolini, Franco Zeffirelli, i fratelli Taviani, Roberta Torre, Nanni Moretti. E infine gli indigeni Ciprì e Maresco, un cazzotto nella pancia della Sicilia edulcorata, e il contraltare Giuseppe Tornatore, aedo di quella Sicilia povera, bella, poetica e farsesca — senza tralicci, né case abusive — che ci ha affrescato ne “Il nuovo cinema Paradiso”, ne “L’uomo delle stelle” e in tante altre pellicole dal sapore mediterraneo. Così come nell’Isola amara dell’emigrazione di
“Stanno tutti bene” e quella epica della “Leggenda del pianista sull’oceano”.

Anche i maestri stranieri hanno amato il set Sicilia, dal grandissimo Francis Ford Coppola della trilogia de “Il padrino”, al Cimino de “Il Siciliano”, dal Lucas di “Guerre stellari”, con l’Etna ricostruita al computer, al Wenders di “Palermo shooting”.

Un’attrazione fatale che trova le radici nell’Isola del mito. Che trae energia nel nostro disordine vitale, contrapposto all’ordine statuario dell’inanimazione.

Un altro filone che ha prosperato in Sicilia è quello pecoreccio; dell’eterno “arrapato” Lando Buzzanca, ma anche di quella sessualità traboccante, incarnata da Laura Antonelli, che ha il suo capolavoro in “Malizia”, film “supportato” da quel gran- de attore che era Turi Ferro.

Gran parte degli spunti del cinema di qualità sono stati dati dalla nostra letteratura, la più significativa del Novecento.

I grandi scrittori — Tomasi di Lampedusa, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Federico De Roberto, Dacia Maraini, Ercole Patti, e gli stessi Verga e Pirandello — sono stati “saccheggiati”.

Non sempre il cinema ha reso giustizia alla parola scritta, ma in alcuni casi (pensiamo a “Il Gattopardo”) i registi ci hanno offerto il capolavoro bis. A se stante il fenomeno Camilleri, che come re Mida fa diventare oro ogni storia — spesso confezionata su misura per la bocca buona del pubblico televisivo — che scrive.

E con lo scrittore di Porto Empedocle si staglia sul piccolo schermo una Sicilia solare, etica, che mette a nudo la cattiva coscienza del potere. Una strada, che sul filone della drammatizzazione antimafiosa, era stata dischiusa e poi spalancata dalle tante “Piovre”.
Senza contare poi che con Camilleri il dialetto siciliano — seppure nell’eccezione dell’agrigentino italianizzato — ha trovato la sua consacrazione di seconda lingua nazionale. Mentre dagli albori del cinema e fino agli anni Ottanta, il siciliano cinematografico e televisivo era mutuato dalle inflessioni e dalle cantilene catanesi.

I luoghi infine. “Sicilia. Guida ai luoghi del cinema” propone anche dieci itinerari cinematografici. Tutti da godere. Posti che conservano in qualche modo l’incanto irradiato dai film. Facciamone una carrellata. A cominciare dalla Cunziria di Vizzini, naturale scenario verghiano.

Ma oltre a girarvi la “Cavalleria rusticana”, vi è stato ambientato “Il mastro don Gesualdo”, riecco Turi Ferro, primo sceneggiato proposto dalla televisione nazionale, filmato su pellicola dal regista Giacomo Vaccari. Oggi purtroppo la parte diroccata è sempre più abbandonata e la parte recuperata sempre più deturpata.

E poi, la Cefalù di tantissimi film; il primo “Vacanze d’amore” ambientato nei tucul di paglia del “Village magique” che poi sarebbe diventato il Club Mediterranee, ora chiuso per essere trasformato in un moderno centro turistico con complessi in muratura.


Molti di questi posti sono rimasti intatti, come la Scala dei Turchi di Porto Empedocle, Ortigia, i muretti in pietra del ragusano, Marzamemi, l’Agorà di Grammichele, la piazza di Palazzo Adriano, lo Zingaro, la tonnara e il borgo di Scopello, Portella delle Ginestre; in parte le isole dell’Isola con la loro fantasmagoria di luci e colori, l’Etna, Mozia, i castelli, Taormina paradiso degli occhi e dell’anima. Oleografici gli scorci del termitano “Agrodolce”, purtroppo imbarazzante anche tutto il resto.

È scomparsa per sempre invece la Sicilia dell’entroterra, i volti scavati e sdentati, i paesi polverosi, le donne in gramaglie. Le “trazzere” e il sudore, i bambini dagli occhi sgranati e gli uomini di tenace concetto, i Placido Rizzotto e i tanti eroi per caso o per temperamento. Ci consoliamo con gli itinerari del commissario Montalbano e con i film educati e gentili di Ficarra e Picone.

 

 

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