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Sciascia nel secolo degli intellettuali
L'impegno etico contro ogni potere, poi la ripulsa del compromesso storico



Tra i tanti modi con cui è stato definito il ventesimo secolo vi è anche quello di "secolo degli intellettuali". Infatti, anche se gli "intellettuali" hanno avuto alcune sporadiche apparizioni nei due secoli precedenti, la loro presenza in quello appena trascorso si è manifestata in molte, forse troppe, occasioni.

Ma che cos'è propriamente un "intellettuale"?

Non credo di staccarmi troppo da una corretta definizione dicendo che nell'uso corrente della parola non sono gli scrittori, i poeti, i filosofi, gli storici in quanto tali, ma quelli tra di loro che hanno preso, o prendono, posizione diretta di fronte agli avvenimenti politici del loro tempo, schierandosi pubblicamente con una delle parti antagoniste.

La seconda metà del ventesimo secolo di queste figure ne ha viste molte, e non tutte, né sempre, esaltanti. Ma tra gli intellettuali italiani del ventesimo secolo se ne incontra uno di altissimo profilo, soprattutto morale, che costituisce motivo di orgoglio per la Sicilia dove è nato e ha vissuto, e al quale è stato dedicata un'altra monografia, "Leonardo Sciascia e i comunisti" (Feltrinelli, pp. 160, euro 14), e di cui è autore una personalità politica – siciliana come Sciascia – radicata nell'area di sinistra, e, a suo tempo, nel Partito Comunista, Emanuele Macaluso: una personalità che, soprattutto in Sicilia, non ha bisogno di una particolare presentazione. Questa non è, dunque, la prima – né credo sarà l'ultima – monografia su Leonardo Sciascia; ma è la sola, almeno fino a questo momento, monografia non sullo scrittore, ma sull' «intellettuale» Leonardo Sciascia, su cui il titolo del libro e il nome dell'autore anticipano chiaramente il contenuto.

Devo subito dire – in quanto condiziona il racconto di Macaluso – che siamo soprattutto di fronte alla storia di un'amicizia tra Sciascia, appunto, e il suo biografo, anche se questa non è una biografia in senso stretto; un'amicizia che ha continuato a vivere oltre le divergenze, nonostante i forti contrasti, provocati da una notevole diversità di vedute a causa di un differente atteggiamento di fronte alle situazioni storiche che hanno incontrato, essendo l'uno, Macaluso, un "professionista" in senso forte della politica, l'altro, Sciascia, per così dire, un "appassionato". Lo provano queste parole di Sciascia in una lettera diretta a Macaluso, in uno dei momenti più bui del loro rapporto: «Ma per quanto io eviti, per ragioni contingenti, di parlare di certe cose, queste cose esistono e sono (e credo saranno sempre) il punto del nostro dissenso. Dissenso che per me non influisce minimamente sul piano dei rapporti personali, dell'amicizia. E mi auguro sia così anche per te». Parole nobili, alle quali vanno aggiunte quelle scritte da Macaluso in una delle ultime pagine del libro, là dove manifesta tutta la sua sofferenza di fronte alla malattia che stava portando Sciascia alla morte: «Pensavo che in tutti quegli anni avrei dovuto accantonare i dissensi, dare più posto all'amicizia, all'affetto come lui mi aveva invitato a fare nella lettera del 1972, quando quei dissensi erano più marcati». Di là dei rapporti personali, le ragioni di quel dissenso sono tutt'altro che difficili da intendere.

Ed erano conseguenza del loro diverso atteggiamento di fronte alle scelte politiche di fondo del Partito Comunista, al quale Sciascia prestò a lungo la sua attenzione e al quale diede autorevole sostegno. Ma in maniera diversa da Macaluso, fortemente legato – anche se spesso in maniera critica (mi permetto dire che era più uomo d'azione, nel senso migliore del termine, che di dottrina, anche se questa non gli ha fatto difetto) – al partito e alla sua ideologia. Quella di Leonardo Sciascia, infatti, era una passione più "civile" che "politica" in senso rigoroso: era un intellettuale di formazione, starei per dire, "illuminista"; e come i suoi modelli, i philosophes del Settecento, era sempre contro il "potere" come tale: e certamente lo sarebbe stato anche se al potere fosse andato, con il suo appoggio, lo stesso Partito Comunista. Ricordo questo aspetto della "biografia intellettuale" di Leonardo Sciascia perché segnala che la sua sofferta, ma molto discussa, contestata talora anche da chi ammirava lo scrittore, vicinanza al Partito comunista italiano non aveva nulla di "ideologico".

E Macaluso lo segnala in maniera da non lasciare dubbi: «Il riferimento all'ideologia non mi pare adatto a cogliere la critica di uno scrittore, il cui rapporto con il Pci non è mai stato ideologico, ma condizionato dai suoi comportamenti rispetto al Potere, così come si esercitava nella quotidianità»; una quotidianità dove «il Pci svolgeva essenzialmente un'azione sociale, politica, non ideologica», pur senza rinunciare al marxismo-leninismo. Sciascia, dunque, nonostante la sua «visione pessimistica sul presente e sul futuro del mondo», vide per lungo tempo nel Partito comunista italiano la sola forza capace di contrastare l'egemonia democristiana, di allargare gli orizzonti della giustizia sociale, di perseguire la legalità in Sicilia, nella sua Sicilia, compromessa dalla presenza della mafia e dalla collusione con la politica che denunziava nei suoi romanzi: e per questo, e soltanto per questo, scelse di essere un "compagno di strada" del Partito comunista, come Jean-Paul Sartre chiamava coloro che, come lui, aderivano ad esso dall'esterno, senza mai farne ufficialmente parte.

Una scelta che in sostanza faceva del Partito comunista una sorta di "tribuno della plebe" (ruolo peraltro, mi permetto di aggiungere, in cui ha dato il meglio di sé), e che Macaluso non poteva certo condividere. Comunque sia, quando Sciascia vide affacciarsi l'ombra del compromesso storico, di una "non-santa" alleanza tra il Partito comunista e la Democrazia cristiana, si allontanò definitivamente dal primo, accostandosi al Partito radicale che in quel momento si presentava come nemico di "qualsiasi" potere.

Macaluso racconta con grande onestà intellettuale, e documenta in una ricca appendice, tutto questo, e molte altre cose relative alla biografia politica di Leonardo Sciascia, la quale spesso si incrocia con la sua. E proprio la frequentazione con lo scrittore di Racalmuto gli fece comprendere quale fosse il movente ultimo di tutta la sua opera di scrittore e di tutta la sua attività di "intellettuale"; e oggi lo ricorda a noi con queste parole dello stesso Sciascia, che se da una parte erano chiaramente dettate da disillusione, dall'altra erano parole di speranza: «Uno scrittore dovrebbe sempre poter dire che la politica di cui si occupa è etica. Sarebbe bello se potessero dirlo tutti. Ma che almeno lo dicano gli scrittori».

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