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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

La letteratura si comprende leggendo. Sembra una frase banale, ma è vera da sempre e in questi anni di formalismi neo-scolastici è ancora più vera. Quanti hanno compreso il Mastro-don Gesualo dopo essere stati estenuati dalle militaresche consegne di analisi e perifrasi che vengono imposte a scuola? Quanti hanno compreso il gran romanzo manzoniano dopo averlo trangugiato a forza di riassunti e pagine esemplari, passate in rassegna su concetti e preconcetti prefissati nella manualistica scolastica? Pochi eroici. Ma questo vale per i testi classici, che sono fissati dai programmi ministeriali. C'è perà la serie dei nuovi capolavori che rischia di fare la medesima fine di sacralità intangibile che li mette sotto vetro, anzi sotto formalina e ne dissecca la sostanza che, cosa assai seria, è la nostra stessa storia: il divenire di domani, i programmi della politica, gli schiamazzi dell'antipolitica, il gioco eterno di un potere che si maschera per meglio agire.
Analisi della cronaca presente? Macché. Lettura dei maestri letterari siciliani che a loro volta hanno indicato un metodo di interpretazione alla cultura italiana. Nel Gattopardo c'è la chiave di lettura del trasformismo, dell'arrivismo, del menefreghismo ammantato di paroloni, della mafiosità mimetizzata nelle retoriche elocuzioni televisive, nelle retoricissime interviste rilasciate ai giornali.
Melo Freni che queste cose le sa perché è un letterato di vocazione, molto prima che un giornalista di elezione (e i suoi servizi in Rai hanno lasciato il segno) ha scritto un saggio denso, pungente e invitante: «Leggere il Gattopardo (saggio narrativo), Flaccovio editore).
E' un saggio che invita a leggere il Gattopardo, come indica il titolo, ma a guardarsi attorno, come è necessario faccia chi vuol capire senza ripetere teoremi d'accatto. Il Gattopardo è il simbolo (vero e non fittizio) della mala pianta politica, del badare ai fatti propri parlando di suffragio elettorale e di interessi diffusi. Ovviamente Melo Freni non ne parla dalla prospettiva asettica della saggistica scolastica (che è sempre scolastica anche quando viene presentata nei simposi culturali): inizia colpendo il lettore con una analisi del bel mondo (che poi è un demi monde) della partitocrazia letteraria: Tomàsi scrisse il suo libro per far vedere di non essere più fesso dei cugini. Il suo romanzo fu rifiutato da Vittorini (che certo sciocco non era) per considerazioni di partito (Un romanzo senza partigiani, in cui il protagonista è un trasformista confesso e il sol dell'avvenire non sorge mai? Vade retro!). E quelle stesse considerazioni sconsigliarono la stampa in patria del capolavoro di Pasternàk (e hanno ostacolato fino ad anni recenti quella dei capolavori di Solzhenicyn). Parlare di certe cose, dire che i miti progressisti sono sconfessati dalla realtà umana che li sostiene, non è de mise. I Viceré di De Roberto, I Vecchi e i Giovani di Pirandello, lo stesso Don Gesualdo verghiano stanno a dimostrarlo. Certo vengono laudati nei convegni e nelle analisi letterarie: ma rimangono inerti, come se non esistessero, come se lo scandalo della Banca Romana, come se la compera dei voti popolari, come se la strumentalizzazione dei sentimenti popolari non ne fossero la sostanza, non fossero il pro-memoria di quello che succede oggi. Meglio letterariamente discutere di oggettivizzazione dell'interiorità, contare quante volte Sciascia usa la parola mafia: e fermarsi lì. C'è un caso ancora più grave di cui pochissimi si accorgono nelle cronache culturali e di cui invece Melo Freni dà cenno nelle conclusioni del suo libro: Il Pilade di Pasolini, documento scomodissimo della civiltà post-moderna, neo-dionisiaca, fu rappresentato la prima volta a Taormina e poi messo da parte e passato sotto silenzio.
Il libro di Melo Freni rappresenta le pulsioni, gli atteggiamenti, i personaggi, gli incontri, le persone che stavano attorno a Tomàsi, senza retorica. Riunisce una vastissima cultura letteraria citando gli studiosi russi e i sogni dei Siciliani. Con uno stile che è di presa immediata. Che della migliore saggistica italiana (il Novecento italiano ne poteva andare fiero, ma li ha ermeticamente chiusi negli scaffali degli accademici) riprende il brio, della migliore letteratura giornalistica (alla Pulitzer per intenderci) prende la grinta. Fa leggere il Gattopardo come la Nafisi ha fatto leggere Lolita dell'esule sovietico Nabòkov nella capitale degli ayatollah: leggendo le pagine, commentandole nel confronto con quelle di altri contemporanei e soprattutto con i sentimenti e le esperienze di chi legge.
Chi legge questo libro comprende una problematica. Comprende soprattutto che la letteratura non è la divagazione inerte di esteti astratti. E' l'impegno di ricerca del vero stesa in forme destinate a durare.
E' un libro che si legge di un fiato. E poi si riprende per assimilarne i temi guardandosi attorno. Siamo circondati da gattopardi.

 

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