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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Non solo Montalbano. E' così: i lettori nostrani, adusi ad identificare l'arte di Andrea Camilleri con le avventure del ruvido e simpatico commissario Salvo, avevano già di recente verificato con "La mossa del cavallo" (1999) quanto gli orizzonti dello scrittore di Porto Empedocle fossero più ampi. A conferma, giunge ora questo delizioso "La scomparsa di Patò" (Mondadori, pp.254, L.28.000), ambientato come d'uso nell'immaginaria località siciliana di Vigàta, però nell'anno di grazia 1890: è in detta epoca che si colloca - per l'esattezza il 21 marzo, Venerdì Santo - la scomparsa del ragionier Antonio Patò, avvenuta repentinamente ed in maniera misteriosa durante la rappresentazione della Passione di Cristo.
Edificato nell'atipica forma di dossier, il romanzo è costituito esclusivamente da articoli di giornale, missive anonime, lettere ufficiali, verbali di polizia, financo scritte murali: ciascuno di questi testi è riprodotto con grafia e caratteri tipografici originali, al punto di trasformare la narrazione in una sorta di accidentato "sicilian graffiti" dalla esilarante resa. In questo romanzo il significato del dossier si amplia, diventa un «prodigioso repertorio di tradizioni sicule, di abitudini italiche, di costumi e malcostumi ottocenteschi e contemporanei , inarrivabile campionatura di linguaggio burocratico, borghese e popolare, raffinato inventario delle forme del giallo enigmistico e degli equivoci della commedia di costume, minuzioso catalogo delle manifestazioni del potere e del candore , del sussiego e dell'idiozia degli uomini.»
S'affaccia dalle pagine, guardata in tralice, l'Italia del burocratese e delle piccole omertà, degli insabbiamenti e del malcostume diffuso: nella godibile forma d'un rompicapo che sarebbe piaciuto a Borges, inoltre, e con due segugi - il delegato di Pubblica Sicurezza Ernesto Bellavia e il maresciallo Paolo Giummaro - evidentemente imparentati per acume ed umanità con l'investigatore che, un secolo dopo, avrebbe preso il loro posto sul palcoscenico di Vigàta.
Scritto in una lingua da documento ufficiale ottocentesco - coi suoi "putacaso", "battibaleno" ed "immantinenti" - per fortuna caduta nell'obsolescenza."La scomparsa di Patò" è un libro che si consuma tutto d'un fiato e procaccia un inusitato divertimento: a conferma di come non necessariamente le letture colte ed eleganti debbano assumere le forme del tedio pedante. Una ricetta, tuttavia, della quale Camilleri pare esser da noi depositario unico: senza che s'affaccino, almeno per il momento, allievi od emuli in grado d'impensierirlo.

Trama 

Il 21 marzo 1890 a Vigata, Venerdì Santo, viene secondo tradizione messo in scena il "Mortorio" ossia la Passione di Cristo opera teatrale del cavalier D'Orioles, nella quale il ragionier Antonio Patò, specchiato impiegato della banca locale, filiale della Banca di Trinacria, si assume, già da qualche anno, la poco simpatica parte di Giuda che gli vale, durante la sua appassionata recitazione, dover ricevere insulti e minacce dagli spettatori che si immedesimano nello spettacolo religioso.

Sul grande palco, allestito in uno slargo di proprietà del marchese Simone Curtò che ha concesso anche l'uso di quattro magazzini le cui porte danno sul cortile padronale per farne dei camerini per i numerosi personaggi dello spettacolo, comincia la rappresentazione che giunge all'acme con l'invio all'inferno di Giuda-Patò, accompagnato dagli improperi degli spettatori, attraverso una apposita botola. Alla fine della rappresentazione però Patò sembra essere scomparso. Nel suo camerino non si trovano né i suoi abiti né il costume di scena.

Su un muro di Vigata il 23 marzo compare una scritta "Murì Patò o s'ammucciò (si nascose)?" segno che la scomparsa del ragioniere è divenuta di dominio pubblico e che si stanno avanzando una varietà d'ipotesi che mettono in discussione anche la figura di Patò come onesto padre di famiglia. È soprattutto la moglie, Mangiafico Elisabetta in Patò, che chiede sia fatta chiarezza sulla scomparsa del marito, in questo sostenuta dal cognato Capitano del regio Esercito Arnoldo Mangiafico ma soprattutto da Sua Eccellenza il Senatore Pecoraro Grande Ufficiale Artidoro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno, parente dello scomparso ragioniere, che comincia ad indirizzare una serie di lettere semiufficiali in uno stile mellifluo e arzigogolato, infarcito di termini astrusi, per stimolare e minacciare gli organi preposti alle indagini.

La Pubblica Sicurezza e i Reali Carabinieri gareggiano e si ostacolono nelle indagini, i giornali governativi "L'Araldo di Montelusa" e dell'opposizione "Gazzetta dell'Isola" s'insultano velatamente e si lanciano reciproche accuse di voler nascondere la verità a fini politici.

Due sudditi di Sua Maestà Britannica, residenti nell'isola, aggiungono confusione alla già intrigata faccenda. Il reale astronomo di corte Alistair 'O Rodd è sicuro che Patò sia finito in una frattura del continuum spazio-temporale mentre l'Archeologo di Corte Michael Christopher Enscher attribuisce l'accaduto all'intervento misterioso (tanto misterioso che nessuno sa cosa sia tranne lui), della scala di Penrose.

Non mancano gli argomenti che gettano una luce di sospetto sulla misteriosa scomparsa di Pato. Una qualche irregolarità nella conduzione della banca? Una perdita di memoria dovuta alla caduta nella botola? Una scomparsa voluta e programmata per ragioni di cuore? un qualche complotto mafioso?

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