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La mafia senza mafiosi
L'ultima fatica letteraria di Attilio Bolzoni
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L'origine della mafia, la sua evoluzione, le stragi del '92 tornate in questi giorni prepotentemente alla ribalta per i loro "spaventosi" risvolti. Una stagione che ormai è storia d'Italia e che Attilio Bolzoni, giornalista di "Repubblica", ha raccontato nel suo ultimo libro «Faq Mafia».


Il presidente della commissione antimafia Pisanu ha detto "non è vero che sulle stragi siamo così vicini alla verità, abbiamo fatto dei passi avanti ma la meta è lontana". Ci sarà mai una verità sulle stragi di mafia?


«La verità giudiziaria è veramente difficile da raggiungere, ma credo che una verità storica sia possibile. In questo momento paradossalmente noi giornalisti possiamo ricostruire certe vicende del nostro passato, recente o lontano, meglio dei magistrati che devono fare i conti con i codici, le leggi, la ricerca delle prove certe. Noi abbiamo già capito che le cose che ci hanno raccontato su quello che è accaduto in Sicilia e non solo in Sicilia negli ultimi 30 anni erano frottole».


Perché i nodi vengono al pettine proprio ora?


«Perché è passato molto tempo da alcune stragi, è cambiata la stagione, ci sono, dentro gli apparati, delle zone di fragilità ed è possibile proprio per questo ricostruire, per ora solo a brandelli, la verità. In realtà già nell'89 sarebbe stato possibile fare luce sull'attentato all'Addaura, perché fu lo stesso Falcone a parlare, subito dopo, di "menti raffinatissime" dietro l'organizzazione di quell'attentato. Certo quando parlava di menti raffinatissime non pensava ai mafiosi.

E però nessuno ha mai battuto quella pista e si sono limitati ad indagare sui mafiosi dell'Arenella, dell'Acquasanta, della Vergine Maria e di Resuttana, infamando dopo la loro morte i poliziotti Agostino, Piazza. Oggi qualche spiraglio c'è ma, secondo me, l'Addaura, Capaci e via D'Amelio sono l'atto finale di una guerra tra pezzi dello Stato che si combatteva già da anni. Prima di queste stragi Palermo era già precipitata in un baratro con decine di grandi omicidi di mafia, cadaveri eccellenti, stragi: un procuratore della Repubblica, due consiglieri istruttori, poliziotti, carabinieri il presidente della Regione, il segretario del partito di maggioranza relativa, giornalisti.

È stato solo Totò Riina a fare tutto questo? Ci hanno fatto credere che Totò Riina e settanta "caproni", i mafiosi dello zoccolo duro di Corleone, Prizzi, San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi, non solo hanno destabilizzato la Sicilia e l'Italia, ma hanno ucciso, dalla primavera dell'81 all'autunno del 1983, 1.500 mafiosi che appartenevano all'aristocrazia di Cosa Nostra. È stata una guerra di mafia. C'è da riscrivere non solo la storia delle stragi del '92 ma anche quella stagione siciliana».


Non è paradossale che questa opportunità di chiarezza, arrivi oggi in un momento in cui si tenti di limitare il lavoro dei giornalisti con il ddl sulle intercettazioni? Cos'è avvenuto? Quale "cortocircuito" si è verificato?».


«Io non lo so. So solo che, se questa legge che secondo me non approveranno mai l'avessero fatta io non avrei potuto scrivere il 95% degli articoli che ho scritto. Perché queste vicende sono uscite proprio adesso non lo so esattamente. So come ci ho lavorato io e come sono riuscito a tirare un filo».


Vent'anni fa, alla luce di quello che succede in questi giorni, cosa non avresti mai creduto possibile che, invece, si è realizzato?


«I depistaggi che sono stati fatti inchiesta dopo inchiesta. Rileggendo tutte le carte la cosa che mi ha colpito è stato l'omicidio di Giuseppe Impastato, bravissimo giornalista e uomo coraggioso. Oggi ritengo che non sia stato ucciso solo da Gaetano Badalamenti. L'omicidio Impastato rientra in quel grumo di patti e di ricatti tra lo Stato e Cosa Nostra. La stessa scena del crimine non è un classico omicidio di mafia. Trentadue anni fa il corpo a pezzi di Peppino Impastato (venne ritrovato lo stesso giorno in cui trovarono il cadavere di Aldo Moro) era una scena militare: binari, esplosivo. Secondo elemento, il depistaggio cominciato prima del suo omicidio per farlo sembrare un terrorista suicida è sproporzionato anche per un mafioso importante come Badalamenti; terzo elemento: non tutte le persone che avrebbero dovuto essere ascoltate come testimoni sono state ascoltate, ci sono ancora testimoni quasi oculari importanti che poliziotti e magistrati non hanno sentito; chi ha depistato 32 anni fa le indagini sull'omicidio Impastato è finito nelle pieghe delle trattative tra Stato e mafia: sono gli stessi ufficiali dei carabinieri dei reparti speciali».


E oggi?


«Ogni epoca ha bisogno della sua mafia, per un lungo periodo c'è stato bisogno di una mafia manza, istituzionale, trattativista, "pacifica", quella dei Bontade, degli Inzerillo, dei Di Maggio, dei Gambino, dei Badalamenti. Una mafia che andava a braccetto con la politica e stata dentro le istituzioni, non veniva processata e la faceva franca grazie anche al sistema giudiziario. Ad un certo punto è servita una mafia che doveva destabilizzare, cioè Totò Riina, la mafia stragista. Dopo le bombe del '92, questa mafia è stata usata, sacrificata e seppellita per sempre nei bracci del 41bis. Totò Riina passerà alla storia come l'uomo che ha portato alla rovina Cosa Nostra per le stragi, dall'altra parte è stato messo nel sacco giocato da altri poteri».


Qual è il futuro di Cosa Nostra?


«Arriveremo ad una mafia senza mafiosi. La cosa più inquietante. La mafia senza mafiosi è una mafia particolare. La mafia non può più presentarsi con le facce sconce dei Galatolo, dei Totò Riina, dei Ganci, dei Santapaola, degli Ercolano, dei Madonia. Chi si chiama in questo modo sarà marchiato per generazioni. Hanno bisogno di spezzare quella continuità e di presentarsi con altre facce e altri nomi. Il ministro dell'Interno e il presidente del Consiglio da mesi dicono che entro la legislatura sconfiggeranno la mafia, ma poi non riescono a sciogliere per mafia il Comune di Fondi impestato di infiltrazioni della camorra e della 'ndrangheta. La nuova mafia è anche questa».
Alla commemorazione di Borsellino non c'era nessuno.


«Io credo come dice la signora Borsellino che non serve contarci ogni volta. Penso che ognuno di noi possa dare ogni giorno il proprio contributo senza andare fisicamente alle manifestazioni. Certo sono importanti, ma oggi esistono anche movimenti che portano avanti un'antimafia "pratica". Secondo me oggi Palermo è migliore del 1993 quando sfilarono in 150mila e poi ci fu il vuoto. Oggi Palermo è cresciuta. Ci sono centinaia di negozi che espongono il pizzo free e tantissimi cittadini che non vanno nel negozio dei mafiosi, o nel ristorante dei mafiosi. È l'azione più efficace, se ai mafiosi tocchi i piccioli tocchi loro tutto».


C'è ancora voglia di raccontare la mafia?


«È una materia molto complicata scivolosa e viscida per le implicazioni che ha con la politica con l'economia con le lobby. Io, dopo tanti anni che me ne occupo ho cercato di raccontarla con due esperimenti. In "Parole d'onore" l'ho fatta raccontare agli stessi mafiosi, adesso ho cercato di rispondere alle domande che mi sento fare da tanti anni. Se vogliamo spiegare la mafia ad un ragazzo di 12 anni che non ne sa niente io gli spiego che c'è una differenza tra la criminalità mafiosa e la criminalità comune. È molto semplice secondo me. La criminalità comune e è sempre stata combattuta dal potere e ha sempre vissuto ai margini della società. La criminalità mafiosa è sempre stata protetta dal potere ed ha sempre vissuto dentro la società».


Perché la Sicilia deve sempre fare i conti con presidenti della Regione indagati per mafia? Prima Cuffaro, ora Lombardo...


«Io credo che la Sicilia meriti ben altro che Cuffaro e Lombardo. Però evidentemente i tempi non sono maturi. C'è molto bisogno di mafia ancora in Sicilia. A Palermo la mafia ti garantisce ancora il lavoro. In una delle ultime operazioni sul racket i mafiosi nelle intercettazioni non chiedevano soldi agli imprenditori ma posti di lavoro. Questo dà l'idea di come la gente nelle nostre terre, abbia "bisogno" della mafia e del lavoro. Dove lo Stato non è presente e non dà risposte, c'è la mafia».

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