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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

"Il tempo che ci vuole" è il titolo del romanzo d'esordio di Francesca Palumbo. Un inno all'intimità, all'introspezione, al recupero dell'umanità che si perde nel frastuono collettivo. Protagoniste due adolescenti, per una storia corale

di SILVANA MAZZOCCHI
CIASCUNO di noi soffre, gioisce, elabora e sedimenta le proprie esperienze con un tempo individuale, sempre diverso. E questa libertà, che ha a che fare con la propria intima conoscenza, andrebbe onorata, messa al primo posto, stimolata. Ma la potenza dell'effimero e le pressioni quotidiane disseminate in una esistenza scandita da bisogni indotti che tengono in ombra sogni e desideri, ci rendono spesso sordi e ciechi, appiattiti su un tempo che non è il nostro, bensì quello dettato da riti e regole estranei. E allora evviva la letteratura, quando aiuta a ricomporre se stessi, a guardare la trama delle relazioni e quello che normalmente ignoriamo; quando riesce a regalarci il tempo che ci vuole. Per riflettere e
comprendere.
Accade a sorpresa con Il tempo che ci vuole (Besa editore), romanzo d'esordio di Francesca Palumbo, già scrittrice di bei racconti. Un inno all'intimità, all'introspezione, al recupero
auspicabile e autentico di quell'umanità che si va perdendo nel frastuono collettivo, scritto con sensibilità e perizia.  Palumbo insegna a Bari alle scuole superiori ed è abituata a creare parole e a vivere con loro, con uno spessore nutrito forse anche dal suo far parte del gruppo delle Donne di carta o libri-persone, un'associazione attiva in molte città italiane che ama comunicare nei luoghi più diversi attraverso i testi dei libri, recitati a memoria, senza
drammatizzazione. Affidando alle parole appunto, la volontà di comunicazione.
Romanzo corale Il tempo che ci vuole
  Ricco e maturo il linguaggio del romanzo,  perfettamente aderente al ritmo narrativo
prescelto che non è cronologico e che segue invece il tempo intimo di ciascun personaggio, volteggiando tra passato e presente con quella naturalezza che è propria dell'autentiticità. Che bello leggere quando ci si può fermare a riflettere, per riprendersi il tempo che ci vuole.
Per pensare. E, finalmente, per vivere.
Qual è, nella vita di ciascuno di noi, Il tempo che ci vuole?
"Il tempo che ci vuole, per dirla alla Bauman, è un tempo assolutamente 'liquido', assolutamente non quantificabile e unico, singolare per ognuno. E' un tempo non cronologico. E' un tempo interiore e soggettivo, perché non esiste un tempo del dolore, della consapevolezza, dell'elaborazione o della rinuncia, universalmente uguale per tutti.
Dunque il tempo che ci vuole, in questo senso, è molto personale e intimo, è un tempo privato ed esclusivo che riunisce in sé ciò che è stato e ciò che siamo adesso, consentendo così che le stratificazioni temporali si tocchino e che il passato incontri il presente fino a
superarlo. Il titolo del libro attraversa le pagine quasi come un mantra perché ha a che fare con il tempo la vita, e così nel mio romanzo ho cercato di porre l'attenzione sul senso temporale della propria individuale volontà rispetto ad una scelta, ad un bivio, a quel tipo
insomma di situazione di fronte alla quale ci è richiesto di agire nel superamento dell'hic et nunc e diventa necessario indossare e far propria una nuova prospettiva, capace di farci comprendere il valore della nostra scelta rispetto al futuro, a quel che saremo e che la
nostra opzione comporterà. Questo tempo così dilatato e sospeso richiede semplicemente ascolto laddove, credo, noi tutti invece abbiamo perso la capacità di rallentare e di osservare. Ecco questo è il vero tessuto del libro. In coerenza con quanto detto finora anche il mio stile narrativo non segue un tempo lineare, ma è soggetto a continui balzi in
avanti o indietro. Non riesco a scrivere in altra maniera".
I suoi personaggi ruotano tutti intorno a due ragazze adolescenti. Perché ha scelto proprio loro come centro della narrazione?
"In realtà non credo che le due adolescenti siano al centro della narrazione. Sicuramente in origine volevo raccontare solo dell'adolescenza, ma poi dopo le prime pagine si sono affacciati tutti gli altri personaggi e il libro è diventato più una sorta di Bildungsroman, con un montaggio che via via si è costruito e ampliato quasi spontaneamente. Resta il fatto che le avventure delle due diciassettenni presenti nel mio romanzo sono mutuate non solo dalla mia immaginazione ma anche dalla dose massiccia di tempo che trascorro con gli adolescenti (molto più che tra i miei coetanei!) Insegno da 25 anni nelle scuole superiori e dunque gli adolescenti sono il mio pane quotidiano e sono per me materia delicata e sempre in trasformazione, non facilmente catalogabile, materia sfuggente e affascinante. Li adoro
perché da un lato ce la mettono tutta per esprimersi in quanto individui, e dall'altro sono così nervosi e incerti sugli strumenti da utilizzare per raggiungere questo obiettivo. Mi piace la determinazione ondivaga dei teenager e il modo in cui sono coriacei e vulnerabili al
tempo stesso. Apprezzo quella sorta di terra di mezzo in cui vivono e credo che si tratti di un modo interessante di stare al mondo. Ora, come dicevo, ci sono molti altri personaggi (adulti) che ruotano intorno alle figure delle due adolescenti e il romanzo si snoda attraverso
l'incrocio delle loro vite quotidiane, dei loro tormenti, delle battaglie personali. Ne emerge una trama di relazioni che ognuno intesse con l'Altro, dove lo sguardo di ognuno assume una valenza fortissima e alla fine è solo attraverso e grazie allo sguardo dell'altro che molti
dei personaggi che animano il romanzo, riprendono a sentirsi vivi, proprio in quanto visti, riconosciuti, accolti. Un grande formatore, Danilo Dolci, ha scritto 'Ciascuno cresce solo se sognato' e questo è esattamente quello che avviene ai personaggi che descrivo. Nel mio libro
mostro come di fronte alla consapevolezza di quanto spesso si sia fragili, disorientati e diffidenti, c'è poi un momento preciso in cui tutto cambia: fondamentalmente accade che le distanze esistenziali si accorcino al contatto con la sofferenza. Credo che questo sia uno dei
compiti principali dello scrittore: Far innamorare del mondo a dispetto di tutto, puntare la luce sulla nostra umanità, che è qualcosa di più forte, affascinante e vincente della disumanità.
Lei fa parte dell'associazione Donne di carta. Quanto è potente la parola detta? E quella scritta?
"La potenza della parola, sia scritta che detta è di per sé materia nobile e densa. Sicuramente il piacere della lettura, quando c'è, è bastante a se stesso e dà godimento di per sé. Quando un testo viene "detto" a memoria, come accade con le Donne di Carta/Persone libro, si parla
semplicemente di una modalità altra per raggiungere questo piacere che ha molto a che fare con il concetto di 'intimità'. Dunque, come Donna di Carta/Persona libro, mi sono avvalsa durante le presentazioni  del romanzo in alcune librerie delle Persone libro affinché le pagine del mio libro non fossero semplicemente lette, ma piuttosto ogni personaggio 'prendesse vita' grazie alla voce di una Persona libro che diceva i miei testi a memoria, e l'impatto emotivo su chi ascoltava è stata incredibilmente amplificato! Resta il fatto, tuttavia, che questo non toglie, che ci sia pur sempre bisogno di un tempo privato e più solipsistico per stare a tu per tu con il proprio libro in uno spazio proprio che non deve essere necessariamente condiviso. Libertà di scelta per ognuno laddove nessuna possibilità esclude l'altra e nessuna modalità è più forte o più debole dell'altra. Che la parola risulti più potente se scritta o detta, credo sia secondario, mi sembra piuttosto  fondamentale, che resti sempre assolutamente 'LIBERA'...".

Francesca Palumbo
Il tempo che ci vuole
Besa editore
pag 194, euro 16

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