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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Diceria dell'untore è un romanzo di Gesualdo Bufalino. Iniziato nel 1950 e ripreso dall'autore nel 1971, fu pubblicato nel 1981. Il romanzo ebbe un immediato successo e vinse il Premio Campiello lo stesso anno.

Nel 1990 dal libro è stato tratto un film, per la regia di Beppe Cino, con Remo Girone, Lucrezia Lante della Rovere, Franco Nero, Vanessa Redgrave e Fernando Rey.

Nel 2009 il romanzo diventa un'opera teatrale grazie all'adattamento e alla regia di Vincenzo Pirrotta con la presenza protagonistica di Luigi Lo Cascio.

Trama

Nell'estate del 1946 un giovane reduce affronta, dopo quello della guerra, un nuovo «apprendistato di morte» nel sanatorio della Rocca sulle alture di Palermo. Fra i compagni di consunzione trova altri reduci: il colonnello, Sebastiano, i due Luigi, l'Allegro e il Pensieroso, Giovanni, Angelo e frate Vittorio il cappellano. Tutti sono sospesi alle prognosi ferali del medico del sanatorio, il nobiluomo Mariano Grifeo Cardona di Canicarao detto il Gran Magro, un «inquilino bisbetico» del mondo disposto ad ammettere - con beffarde argomentazioni - l'esistenza di Dio, perché «non c'è colpa senza colpevole». Il Gran Magro ha stabilito un rapporto privilegiato con il protagonista, un io narrante
che ha «più letto libri che vissuto giorni», perché si offre «ascoltatore acquiescente per le sue empiaggini». La contiguità con la morte e con il sublime alimenta fra i malati meditazioni e filosofiche
riflessioni a confronto, come quelle di padre Vittorio, che tenta di convertire alla fede il protagonista, finendo con l'essere contagiato dal suo scetticismo. Alla Rocca «l'attesa della morte è una noia come un'altra»; i giorni infuocati dell'estate mediterranea distraggono dalla malattia e dalla fine, assimilata a «un paravento di fumo fra i vivi e i morti». Ad animare l'attesa provvede il Gran Magro, allestendo con i pazienti spettacoli di arte varia. In un numero di danza di «aerea scrittura» si esibisce Marta Blundo, una ventenne diafana come un serafino, «dalla vita sottile e dalle ali roventi, con occhi come ciottoli d'ebano nel fiero ovale ammansito da una corta chioma di luce».
Folgorato da quell'«angelo nunciante», il protagonista l'invita a uscire con lui per i brevi giorni che incalzano, ma il Gran Magro, accortosi dell'invito, gli intima di tenersi lontano dalla donna. Il giovane apprende che la tisi di Marta è a uno stadio terminale, che la ragazza ha danzato alla Scala, è stata l'amante di un ufficiale tedesco del capo per collaborazionismo. È «due volte intoccabile», ma per un
garbuglio di moti d'animo generato dalla comune condizione di esclusi, sente nascere dentro di sé una passione lucida e intensa.


Gesualdo Bufalino

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