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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Dalla tavola di Babette è d'obbligo tornare alla nostra tavola modicana, magari meno raffinata, ma ricca per noi di potere evocativo.

E per restare nell'ambito dell'arte letteraria che fa connubio con quella gastronomica, ci affidiamo a uno chef modicano e di fama internazionale, Carmelo Chiaramonte, che recentemente è stato protagonista di un interessante evento culinario, nel ciclo di celebrazioni nel trentennale della morte dello scrittore Raffaele Poidomani Moncada. Ispirato dai racconti di "Carrube e cavalieri", il Chiaramonte ha guidato una degustazione delle pietanze citate nel capolavoro, facendo rinascere i sapori di un tempo. La cornice: la storica "Taverna Nicastro", di Modica Alta , quartiere amato dal nostro scittore.

E' stata l'occasione per promuovere la valorizzazione dei prodotti tipici del territorio, ma anche di "degustare" insieme a pregiati vini locali, aneddoti culturali e pagine dei racconti del nostro scrittore.

                  Io propongo qui la descrizione del rito del taglio dell'anguria:

...Il cocomero veniva messo dentro un secchio e calato nella cisterna; così gelava perchè la nostra lietezza fosse completa....L'ora fatidica era quando, sparecchiata la tavola dai piatti unti, dalle stoviglie, e perfino dalle bottiglie, venivano portati i piatti puliti, e Maruzza aveva ripescato l'anguria riposante nel freddo buio consegnandola a Vanna perchè giungesse alla mensa.

L'anguria, si sa, non può tagliarla altri che lo starosta, il capoccia; il protocollo consacrato dalla vetustà del tempo è passato nel rito complicatissimo; ricordo mio nonno che allargava le mani e mentre Vanna gli tendeva l'enorme piatto con il coltello da cucina a lato, egli la spremeva alle orecchie come se volesse farla scricchiare; poi la riponeva.

Allora incideva la dura e verde scorza contro le pareti fibrose, si sentiva lo stridere della lama, e mentre tutti col cuore sospeso attendevano il responso, estraeva il piccolo cuneo rosso di sangue......   Vi dirò che talvolta la polpa appariva bianca; una improvvisa depressione serpeggiava per la tavola, le donne si agitavano sulla sedia, mio padre accendeva una sigaretta e noi sospiravamo; le cameriere ch'eran venute dalla cucina e s'erano appoggiate allo stipite della porta, rientravano al loro posto, e mio zio cominciava a gemere:-Non c'ero dentro io!......>>


Poidomani ha per me un ricordo affettivo notevole perchè il Poidomani frequentava molto spesso la mia casa in simpatiche conversazioni con mio padre, tant'è che il racconto "Le fave della Fasana", protagonista lui, Vincenzo Di Rosa, fu scritto a due mani da entrambi.
Le famose fave della contrada "Fasana", particolarmente cottoie, venivano offerte da mia madre, in apertura di cene di pesce, ad amici ospiti, che le amavano particolarmente.
La sua ricetta:
Dopo averle "pizzicate" (private della parte superiore del tegumento) e tenute a bagno un paio d'ore, le sbollentava. Quindi le copriva di acqua fredda, tre dita sopra,  in una pentola di coccio, con abbondanti lattuga tenera, sedano, 1 pomodoro, 1 cipolla, tagliati come per una insalata.
Io metto tutto nella pentola a pressione, per un'ora, un'ora e 15 m.
Si condiscono nel piatto con un filo di buon olio d'oliva e si accompagnano con falde di cipolla bianca cruda.
Silvana Di Rosa

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