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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Le mille qualità del fico d'India
Introdotto in Europa in età colombiana dagli spagnoli che lo importarono dal Messico, il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi - In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo all’Isola frutti di alta qualità e pregio tanto che la nostra regione ne è, dopo il Messico, il secondo produttore mondiale.



Introdotto in Europa in età colombiana dagli spagnoli che lo importarono dal Messico, il fico d’India è presto diventato un elemento inscindibile nel panorama tipico del bacino del Mediterraneo, dove ha trovato le condizioni climatiche migliori per attecchire e svilupparsi - In Sicilia, in particolare, le “pale” di fico d’India crescono spontaneamente sui suoli sabbiosi e pianeggianti fornendo all’Isola frutti di alta qualità e pregio tanto che la nostra regione ne è, dopo il Messico, il secondo produttore mondiale. In Sicilia il ficodindia è coltivato in aree ben distinte: nella zona centro-orientale dell’Isola che fa capo al paese di San Cono, nel sud-ovest etneo nei territori di Belpasso, Militello, Paternò, Adrano e Biancavilla, nel Belice (zona sud-occidentale) dove la coltivazione di questa pianta interessa i comuni di Menfi, Montevago e soprattutto Santa Margherita Belice. Da agosto a Natale, dunque, l’Isola è un prolificare di questo esotico frutto che conta quattro diverse varietà: la gialla detta “sulfarina”, la rossa nota come “sanguigna”, la bianca denominata “muscarella” e quella dal tipico color arancio chiamata “moscateddo”.

I pregi di questo frutto sono legati a vari motivi: intanto le pale di ficodindia non hanno bisogno di essere trattate con antiparassitari e pertanto i suoi frutti possono essere considerati naturalmente “biologici”. Ma le qualità migliori di questi frutti sono rappresentate dalle sue proprietà terapeutiche tanto che consumare fichidindia rappresenta un’ottima cura naturale per l’intero organismo. Tra le più importanti proprietà del ficodindia si segnala quella depurativa, ottima per aiutare l’espulsione dei calcoli renali, e quella coadiuvante nella cura dell’osteoporosi grazie alla quantità di ferro, calcio e fosforo contenuti in questo frutto Il ficodindia è inoltre indicato anche quale integratore nelle diete dimagranti per il suo grande apporto di fibre, che danno un senso di sazietà, e come reidratante e rivitalizzante per chi svolge attività fisica intensa, sia sportiva che lavorativa


Contrariamente poi a quello che si pensa e spesso si fa, il frutto del ficodindia può essere consumato interamente: grazie alla minore percentuale di glucosio rispetto alla polpa e ad una maggiore di cellulosa e proteine, la famosa buccia di questo frutto possiede un alto valore nutritivo. Una scoperta “recente” che assomiglia a quella dell’acqua calda se in alcuni paesi della Sicilia era pratica comune nel passato cucinare le bucce fresche e addirittura essiccarle per poi consumarle più tardi.

La fioritura di questa pianta inizia in primavera ma i frutti più pregiati sono quelli tardivi che arrivano sulle nostre tavole a dicembre. Questi fichidindia sono i cosiddetti “bastarduna” o “scuzzulati”: in realtà non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, che si ottiene eliminando i primi frutti, più piccoli, e costringendo così la pianta a rifiorire. I “bastarduna”, meno numerosi, hanno però un valore di mercato più alto sia perché sono tardivi e dunque frutti invernali sia perché sono più grandi e senza semi. I fichidindia non perfettamente maturi sono chiamati invece “burduni” cioè bastardi, termine che derivando dal latino “burdo”, ossia mulo, animale appunto non puro. Ancora oggi, nel periodo della vendemmia, in tutta l’Isola è tradizione consumare fichidindia nella prima colazione: costume che deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che offriva questi frutti ai suoi vendemmiatori per impedire che mangiassero troppa uva durante il raccolto.

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