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L'Etna visto da Tommaso Campailla

Una piccola poesia, inserita nella celeberrima opera “L’Adamo”

L'Etna visto da Tommaso Campailla
 

Ragusa - La foto è stata scattata con la mia compatta (e la qualità ne risente, specie per via dello zoom non proprio fenomenale) dalla cima di Monte Lauro.

Il Mongibello è quasi interamente ricoperto di neve, complice anche la recente ondata di maltempo e il repentino abbassamento della temperatura. Una vista meravigliosa, solita seppure non frequentissima per chi abita sull’altopiano ibleo. L’Etna col suo perenne sbuffo di vapore sulfureo (e nell’ultimo anno con numerose manifestazioni anche più consistenti) è sempre uno spettacolo, al quale anche l’occhio distratto e disincantato del moderno consumista non riesce a sottrassi. E non si poteva sottrarre l’occhio, seppure strabico, di uno dei maggiori mai nati da queste parti, che come noi osservava il gigante che sbuffa da lontano, nelle limpide mattinate invernali: Tommaso Campailla, il grande filosofo, medico, poeta modicano (seppure mai laureatosi né in medicina né in filosofia).

Scrisse il grande scienziato guardando l’Etna, una piccola poesia, inserita nella celeberrima opera “L’Adamo”, all’ottavo capitolo. Poesia che riportiamo integralmente certi di incontrare il favore e il gradimento di chi sa apprezzare:

 

Etna, ch’eterni in lei gl’incendi sbocca,

la base a cento miglia in cerchio stende;

ma col vertice suo le nubi tocca;

ed oltre, al Ciel sei miglia il capo ascende.

L’incendiaria sua concava bocca

Spazio di quattro miglia intorno prende;

di opposte meraviglie è sembra pieno:

nevi al crin, boschi à fianchi, e fochi ha in seno.

 

Saro Distefano

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