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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Strettamente legato alla cittadina di Scicli che si stende nel luogo di confluenza di due Cave, quella di San Bartolomeo e quella di Santa Maria la Nova, il sito rupestre di Chiafura, occupa tutta la parete del colle di San Matteo, che sovrasta la città assieme a quello di San Bartolomeo.

L’abitato rupestre si articola in balze e gradoni sul crinale del Colle di San Matteo e, in tal modo, costituisce un terreno fertile per l'abitato in grotta; davanti ad ogni abitazione, infatti, si apre un piccolo pianoro usato o come strada o, se sufficientemente largo, come area di coltivazione.

La tipologia delle abitazioni scavate nella roccia è costituita da uno o due vani rettangolari, di 4-5 metri di lato, che si aprono direttamente sulla strada o su un cortile antistante che i documenti medioevali chiamano: "raffo".

L’organizzazione interna di ogni grotta è rudimentale; si trova spesso un forno, dei fori scavati nella roccia, qualche nicchia per riporvi le suppellettili e, talvolta, una mangiatoia, spesso ricavata da un originario sepolcro. In alcune grotte è possibile trovare una cisterna probabilmente di origine altomedievale, mentre in situazioni abitative più “ricche” si trova un collegamento interno tra due grotte.

 

 

 

Il periodo altomedioevale, coincidente con la conquista araba dell’Isola, è quello cui si devono le testimonianze più interessanti di Chiafura. Con la nascita dell’incastellamento costiero le popolazioni isolane cominciarono, infatti, a lasciare le città marine per insediarsi in modo stabile nell’entroterra creando una sorta di nuova fascia costellare pedemontana costituita da fortezze di piccole dimensioni cui può essere riferibile quella dei "Tre Cantoni", che fu impiantata a S. Matteo per controllare il punto di confluenza delle tre cave del torrente di Modica, di S. Maria La Nova, di S. Bartolomeo.

Dopo la conquista araba (Scicli cadde nell'864/865) le strutture difensive furono rilevate dagli invasori e riutilizzate, ma l'importanza militare di S. Matteo continuò fino a quando, nel 1091 la città non passò sotto il dominio dei Normanni.

Lo sviluppo del centro abitato in questo periodo probabilmente favorì il fenomeno del trogloditismo, già presente in Sicilia nell’VIII e IX secolo, come prima visto. Nonostante, infatti, tale fenomeno avesse preso piede nell’Isola con la conquista araba e l'arrivo di popolazioni dal Nord-Africa, esso aumentò ulteriormente dopo la conquista normanna, probabilmente a causa dell'arrivo di immigrati da aree trogloditiche dell'Italia meridionale (Puglia, Materano) che trovavano nell'Isola un habitat simile a quello dell'area di origine.

Le prime reali testimonianze di una situazione abitativa rupestre, presumibilmente nel sito di Chiafura, si hanno nel XIV secolo, quando il sito viene a configurasi come un quartiere con una fisionomia del tutto simile a quella di altri settori del paese. Lentamente, però, in tale stesso periodo l’abitato comincia ad estendersi a valle e si assiste alla progressiva adozione dell'architettura in elevato. Anche a Chiafura si nota la presenza di edifici costruiti (è il caso del Castelluccio), e anche di palazzi e case di proprietà di notabili del luogo; contestualmente si assiste ad un aumento del numero delle chiese non più rupestri ma in muratura e tra queste si ricordano: S. Maria la Raccomandata edificata, secondo le fonti, nel 1420,e Santa Margherita alla base della Cava di San Bartolomeo, costruita presso il Borgo di Xilomo che, pur non appartenendo all'area odierna di Chiafura, erano considerate chiese del quartiere.

 Informazioni sulla situazione rupestre si hanno dalla veduta di Scicli fornita nel 1787 dal viaggiatore francese Jean Houel nel suo Voyage pittoresque. Questi, infatti,  ricorda che “un quinto dei cittadini di Scicli [circa 1700 persone] alloggia sul pendio di queste rocce, in grotte che risalgono alla più remota antichità” .

Nell’800 però comincia il declino della città e della zona rupestre si parla come di un quartiere “abbellito di ricchi palagi tra gli spechi cadenti ricettacolo di povera gente”; ciò nonostante in piena epoca borbonica l’insediamento rupestre restava ancora densamente abitato.

Documenti preziosi per la ricostruzione del quartiere intorno alla metà dell’Ottocento sono i manoscritti dello storico sciclitano Giovanni Pacetto che, nelle sue Memorie storiche della città di Scicli (redatte fra il 1855 e il 1870) descrive in modo molto dettagliato l’abitato rupestre di Scicli e in particolare di Chiafura. Le grotte, secondo lo storico, sono “incavate le une sopra le altre, cominciando (nel lato di Chiafura) quasi dalle radici della Collina sino alla sommità della stessa, ed offrono una varia dimensione: osservandosi nelle medesime tracce di stalle e di anelli per legarsi gli animali, finestre e rialti per servir di letto: scorgendosi in tutte il travaglio dell’uomo; colla differenza che le grandi Grotte servirono di abitazione e le piccole di tombe”. Infine, quasi ad indicare le potenzialità “turistiche” del sito, il Pacetto conclude la descrizione osservando che “se le nostre grotte fossero state visitate da quei medesimi viaggiatori che hanno osservato le altre Grotte del Val di Noto (intendo accennare al Principe di Biscari, il chiarissimo Munter, l’erudito Sayve ed altri oltremontani viaggiatori) certo che le grotte di Scicli si fossero acquistata l’uguale celebrità”.

Lentamente, dalla fine dell’800 alla metà del secolo scorso, il sito viene progressivamente abbandonato.

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