IngegniCulturaModica

Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

 Dal racconto di un residente del tempo: il dottor Gaetano Mormina.


Erano specie di caverne, senza intonaco e con pavimenti di roccia. Le grotte erano umide, fredde, annerite dal fumo della "tannura", specie di cucina fatta da due pietre parallele con due ferri messi trasversalmente. C'era anche il forno di pietra, costruito dentro la grotta o vicino ad essa. In alcuni casi vi erano delle gallerie che penetravano nella montagna, attraversandola per decine di metri, dove era facile trovare stalattiti o stalagmiti di pietra.

Quando la grotta non bastava più per accogliere la famiglia che diventava numerosa, si scavava la parete per ricavare spazi nuovi dove sistemare i figli. Alcune entrate nelle grotte erano scavate direttamente nella roccia; altre, la maggioranza, avevano dei muri a secco davanti alle caverne; donde il nome di "cavernicoli" agli abitanti di Chiafura, che erano circa sei mila all'inizio del secolo. Per arrivare alle grotte bisognava percorrere dei sentieri con scalinate, fiancheggiati da muri a secco.

Le famose lenze si trovavano nella fiancata della cava di San Bartolomeo che guarda verso la collina della Croce. Erano dei sentieri lungo i quali si poteva accedere alle varie grotte alcune delle quali si affacciavano in un recinto di pietra, dove si trovavano fichi d'india ed alberi di fico, agavi e capperi disseminati nelle rocce. Sopra la porta di accesso alle grotte si trovavano dei raccoglitori d'acqua.

Questa struttura si trovava nelle lenze più basse, vicino alla cava. Chiafura era abitata da gente povera, che diventava più povera verso le lenze più in alto. Nella sesta ed ultima lenza abitavano i pecorai ed i vaccai. All'interno erano state costruite le mangiatoie per le vacche e gli ovili per le pecore, assieme agli spazi destinati all'intera famiglia. Lì si respirava un'aria fetida, umida e fredda, che minava la salute dei residenti. In media la superficie delle grotte era dai 30 ai 70mq.

Comprendeva un letto alto per i genitori ed uno per i figli, un tavolino per mangiare, qualche sedia, un baule di legno per custodire la "ROBBA", una piccola cucina sotto una piccola finestra che guarda fuori nella cava o in piazza Italia per le grotte che si trovano sotto S. MATTEO o prima dell'inizio delle varie lenze. Fra due pareti si trovava la "naca" una specie di culla sopra il letto dei genitori, i quali, tirando una cordicella cullavano i piccoli per farli addormentare. A volte la madre cullava il bambino attaccandosi alla caviglia la cordicella della "naca" ed intanto lavorava. Per sistemare il vestiario si utilizzavano delle canne appese al tetto.

Quando si andava a letto la sera bisognava salire sulla sedia, data l'altezza del letto. I letti non avevano sponde, per cui i cuscini poggiavano direttamente sulla parete umida e fredda della roccia, con le conseguenze immaginabili. La sera si mangiava attorno al tavolino al lume di candela e la mattina ci si trovava con la faccia scura annerita dal fumo delle candele.

Sotto la chiesa di SAN MATTEO c'erano grotte con le pareti intonacate e colorate di azzurro chiaro. Nelle grotte non c'era l'acqua, che veniva raccolta "jusu", cioè in basso nella cava di SAN BARTOLOMEO, dove c'era una sorgente naturale. Le donne mettevano sulla testa uno straccio attorcigliato, "u trizzuni", per meglio ammortizzare il peso delle brocche d'acqua sulla testa portate in perfetto equilibrio. A volte salivano su per i pendii con altre due brocche appese alle mani. Quando pioveva si mettevano fuori dei recipienti per raccogliere l'acqua piovana. La pioggia lavava le rocce ed i sentieri, coperti di polvere e di pietrisco, diventavano fangosi, erano i luoghi dei giochi dei bambini, i quali erano scalzi, malvestiti e denutriti. L'alimentazione era scarsa e molto povera: si consumavano prevalentemente legumi, pane, pasta, poca verdura, latte, uova e formaggio per chi aveva i soldi; la carne solo durante le feste di Natale e Pasqua. A Chiafura si usava il siero della ricotta per fare la zuppa la mattina. Le condizioni igieniche e sanitarie molto deficitarie predisponevano ad alcune malattie mortali: la malaria, il tifo, la tubercolosi. Chi superava queste malattie aveva sempre da lottare per sopravvivere.

D'estate i bambini del ghetto andavano al mare seminudi e scalzi; giocavano lungo i sentieri e le famose lenze arrampicandosi su per le scarpate. Si giocava con il cerchio di una ruota di bicicletta, chiamato "u tullanè" o con "lu truppiettu" fatto di legno ed una punta di ferro, che facevano girare a terra con una cordicella che lo avvolgeva; altri giochi erano: la corsa, il gioco della barca, la lotta libera, la difesa del territorio, il tiro alla fune, il lancio delle pietre, braccio di ferro. A volte si organizzavano le bande delle due cave: San Bartolomeo e Santa Maria La Nova per avere la supremazia del territorio. Le scarpe (chi l'aveva) erano vecchie e rattoppate, venivano pulite con il fumo della cucina attaccato alle pareti delle grotte, che venivano a volte coperte con l'immagine della Madonna delle Milizie o con foto di attori famosi. Inoltre sulla parete spiccavano le pentole, le padelle, e gli altri accessori della cucina. La mattina presto la processione delle donne che portavano al fianco, sotto la veste, "u catusu", una specie di recipiende di argilla, che raccoglieva le feci della notte, per andarlo a svuotare nell'unico cesso pubblico che si trovava giù nella cava.

Per pulire il vestiaro sporco e le lenzuola le donne con la vasca di lamiera sulla testa, scendevano verso il lavatoio pubblico che si trovava lungo il fiume che usciva sotto piazza Italia. Quì c'erano delle grosse pietre immerse nell'acqua, dove veniva lavato il bucato, che poi veniva portato sulla testa su fino alle grotte, dove veniva steso ad asciugare sulle rocce o su una corda sorretta da una canna. Le donne inoltre accudivano alla pulizia delle grotte, e i contadini si alzavano presto per andare a lavorare. Alcuni partivano per la "quindicina": erano i "mazzittieri", che andavano a lavorare lungo le strade della provincia per fare il braccialino, che veniva disteso sulle strade polverose. D'estate dormivano sotto gli alberi e d'inverno dentro le mangiatoie.

Ritornavano a piedi con sulle spalle sacchi di farina o di frumento, che era il pagamento in natura. Mangiavano pane ed olive o fave crude o cotte, senza olio. Alcuni lavoravano la pietra per fare i muri a secco. Altri facevano i cuochi presso le famiglie ricche di Scicli. Altre donne andavano a servizio per pulire le scale ed altri lavori domestici. La sera si riunivano fuori, tempo permettendo, negli spazi adiacenti alle grotte, dove gli anziani raccontavano gli aneddoti, "u cuntu" per i più piccoli, nonchè i sacrifici che avevano fatto per sopravvivere; ognuno parlava dei suoi problemi familiari come se fosse dentro una comunità terapeutica. D'inverno si andava a dormire molto presto e la mattina ci si svegliava al suono delle campane della chiesa di S. Bartolomeo.

Gli anziani pregavano tutte le sere prima di addormentarsi. In autunno si andava nelle campagne a raccogliere "a pampinata" che serviva per ardere il forno. (erano le foglie secche dell'albero di carrubo). Altri raccoglievano "i scorpa re favi" o delle vacche le feci secche per scaldare l'acqua o per il forno. All'età di sei anni non tutti i bambini andavano a scuola. Il livello di istruzione era molto basso. I ricchi, i baroni, i cavalieri tenevano in mano il potere politico ed economico. La popolazione del ghetto di Chiafura viveva nella schiavitù e nel disprezzo. Per decenni ha visto cambiare i padroni senza veder cambiare la loro vita. A Chiafura era morta anche la speranza di una vita migliore.

Il popolo di Chiafura finalmente camminava a testa alta, avendo conquistato la propia dignità di essere umano. Pier Paolo Pasolini, visitando le grotte di Chiafura, scrisse:"Chiafura era una specie di montagna del Purgatoio, con i gironi uno sull'altro, forati dai buchi delle porte saracene, dove la gente ha messo un letto, delle immagine sacre dei cartelloni di film alle pareti e lì vive ammassata, qualche volta con il mulo. Si tratta di un rustico agglomerato troglodito, composto da "cento bocche" che si aprono nel lato sinistro del colle di S. MATTEO. Le grotte furono abitate fino agli anni 50 e per tale motivo furono oggetto di denunzie e di lotte sociali a livello nazionale. L'insieme delle grotte ha una visione veramente suggestiva, ma sono anche una testimonianza del sottosviluppo e dell'emarginazione del Meridione. " 

 

Visualizzazioni: 140

© 2024   Creato da mario giovanni incatasciato.   Tecnologia

Badge  |  Segnala un problema  |  Termini del servizio