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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

Il settore agroalimentare siciliano può diventare ,nei prossimi anni, un elemento trainante per l’economia dell’Isola puntando sulle produzioni esclusive e sulla loro autenticità.


L’agrumicultura ha rappresentato e rappresenta un forte veicolo di promozione della Sicilia  ma indirettamente può costituire, attraverso le arance rosse, un’ulteriore occasione per altre produzioni di eccellenza.
Pensiamo ai formaggi prodotti dalle nostre aziende che hanno salvato la grande tradizione dei vecchi caseari e continuano a realizzare prodotti di una bontà straordinaria,  genuini ed affidabili dal punto di vista della qualità.
L’arte casearia si fa risalire al 700-800 a.C. quando Sumeri e Mesopotami, nel bacino del Tigri
allevavano gli animali e li utilizzavano per la produzione del latte. Al tempo dei Greci e dei Romani l’arte casearia si è notevolmente evoluta.
In Italia uno dei più antichi reperti caseari si fa risalire ad oltre 3500 anni fa ed è stato ritrovato a Piadena nella Pianura Padana.
Trattasi di un colino in terracotta utilizzato per lo sgrondo della cagliata.

In Sicilia già Omero nell’Odissea fa riferimento al Pecorino. Durante il passaggio nella terra dei Ciclopi, Ulisse e i suoi compagni di viaggio mangiano formaggio di pecora. E questo, ancora oggi è uno dei formaggi più conosciuti ed apprezzati.
Altro formaggio molto appetibile è il Ragusano Dop , apprezzato nel mercato nazionale ed in quello statunitense in particolare.  Il Ragusano si trova nei 200 punti vendita della catena “Shop Rite”, sulla East Coast, venduto al pubblico anche 40 dollari al chilo, e nei negozi d’alta gastronomia “Dean & Deluca”.  Anche buyers scozzesi, ultimamente, hanno avviato contatti con aziende locali per esportare quantitativi di Ragusano, intero e grattugiato, nel loro territorio.
La storia conosciuta di questo formaggio, che potrebbe essere un derivato delle bevande acide Komos e Kumis provenienti dall’Oriente, parte dal XIV secolo, quando il fiorente commercio che interessò la parte più a Sud dell’Isola, incluse le forme a parallelepipedo del cacio asciugato a cavallo di una asse “cosacavaddu” appunto.
In epoca successiva a seguito dell’editto del re Ferdinando I e della regina Isabella, nell’agosto 1492 gli ebrei confessi dovettero abbandonare i territori del Regno di Spagna, oppure ricevere il
battesimo pena la vita. Ed è proprio in quel periodo che famiglie giudaiche provenienti da molti centri della Contea di Modica s’imbarcarono su alcune navi davanti al caricatore di Pozzallo, la Torre Cabrera.
Questi profughi, si dice portassero poche masserizie ed il cibo sufficiente per sostentarsi durante le settimane di navigazione sul Mediterraneo.
Il loro menù era costituito da pane, limoni, conserva e caciocavallo. Formaggio quest’ultimo di latte
vaccino prodotto nella zona Sud orientale dell’Isola utilizzato quale merce di scambio nei porti e, grazie alla sua naturale predisposizione alla stagionatura e quindi al consumo inoltrato, a fare parte della dieta dei naviganti. Ma è soltanto nel 1995 che a questo
prodotto va il riconoscimento ufficiale con la Denominazione di origina protetta.
La Dop, denominazione di origine protetta, valida solamente per i prodotti agroalimentari nasce nel 1992 grazie al Regolamento CEE 2081/92 della Comunità Europea.
Questo Regolamento offre garanzie, ai diversi livelli, del processo produttivo- origine, provenienza delle materie prime, localizzazione e tradizione del processo produttivo- e garantisce più di ogni altra norma il consumatore.
La preparazione e la stagionatura di questo formaggio avviene in un’atmosfera che richiama altri tempi, tra strumenti in legno dai nomi particolari e con un rituale fatto di gesti, abitudini e grande esperienza.
Il latte, quello dell’altipiano ibleo, appena munto viene portato nel locale dove avviene la

caseificazione. Il liquido inizialmente filtrato con un setaccio viene versato in un grande
contenitore di legno ( a tina) e ad esso va aggiunto il caglio, d’agnello o di capretto, preparato dallo stesso casaro con un mestello in legno “u pisaquagghiu”. Dopo circa un’ora il latte coagula sotto l’azione del caglio e determina allasuperficie la cagliata. A questo punto il casaro con la” ruotula” ( un’asta in legno che termina a forma di disco) agita questo strato gelatinoso (la cagliata) fino a romperla e a ridurla in granuli piccolissimi.
Al tutto, con un mestolo in rame “ Iaruozzu”, viene aggiunta acqua a ottanta gradi per una prima

cottura. A questo punto la cagliata viene depositata dentro le “vascedde”, canestri di vimini, da cui viene fatto uscire il siero liquido dal quale con l’aggiunta del 10% di latte,con apposita
lavorazione,si ricava la ricotta.
Successivamente la cagliata viene sottoposta ad una seconda cottura, sempre a ottanta gradi, della durata di un paio d’ore, per essere di nuovo inserita nelle vascedde per completare il filtraggio del siero.
Qui viene lasciata riposare per venti ore per far maturare il giusto grado di acidità e di sapore.
Successivamente arriva il momento in cui la parte densa, tuma, viene tagliata a fette e posta
nello staccio, recipiente in legno o in rame, e su essa va versata acqua calda che serve a far filare la pasta, grazie alla “manuvedda”, arnese di legno a forma di pala. E’ qui che il casaro mette in moto le sue mani, saldando l’estremità della pasta e facendo in modo di eliminare dalla sua superficie le eventuali
bolle d’aria o smagliature che possono essersi create. Ancora calda la forma di formaggio viene posta nella “mastredda”, contenitore di legno per la formatura
dei formaggi, dove riposerà un giorno ed una notte interi, asciugandosi ed assumendo la tipica forma a parallelepipedo. Il peso in genere è compreso fra i 12 ed i 16 chili, raddoppiato rispetto alle lavorazioni di un tempo.
Le forme vengono immerse poi su piccole  vasche d’acqua e di sale per la prima salatura.
Restano in questo stato di salamoia da due a otto giorni, in funzione del loro peso, e infine vengono portati alla stagionatura in locali spesso ricavati in grotte naturali. Nei centri di stagionatura avviene la seconda salatura per la durata di trenta giorni circa.
Quando si ritiene che il formaggio sia arrivato al momento giusto della maturazione lo si appende a coppia con “liame” a cavallo di travi di legno. Qui viene lasciato maturare per un periodo che va da
quattro mesi ad un anno. Il sapore è delicato nelle forme giovani, molto intenso in quelle invecchiate.
Particolarmente pregiata è la produzione tradizionale con latte di mucca modicana, razza
locale, fatta pascolare allo stato brado nei pascoli dell’altopiano ibleo.
Questo mio contributo sull’arte casearia negli Iblei assume un particolare significato in quanto legato a ricordi e sensazioni scolpiti, in maniera indelebile, nel cuore e nella mente.
Erano gli anni cinquanta del 1900 quando a Modica nacquero i primi caseifici della provincia di Ragusa, il" Madonna delle Grazie" e  dopo il "Sant’Antonio",  entrambi  fondati con il concorso di Emanuele Incatasciato, mio padre, pioniere dell’arte casearia negli iblei e uno degli artefici dellavalorizzazione di quel caciocavallo che poi è stato denominato nel tempo Ragusano
A quella epoca la richiesta di questo tipo di formaggio non era notevole in quanto la gente era orientata a tipologie molto più dolci e di facile digeribilità. Quindi nel nostro caseificio si producevano
prevalentemente provolette, caciottine, cagliata, burro , mozzarella, ricotta prodotti molto richiesti ed apprezzati non solo a livello regionale ma anche nel resto d’Italia e soprattutto all’estero.
Oggi il disciplinare per la realizzazione del Ragusano prevede una percentuale di sale non superiore al 6% e per il semistagionato si ferma al massimo al 4%.
A produrre questo tipo di formaggio oggi sono una trentina di aziende, la maggiore delle quali- la Ragusa latte- caseifica da sola il 60%.
Il Co.R.Fi. La.CConsorzio Ricerca Filiera Lattiera Casearia a carattere regionale con sede a Ragusa,  svolge dagli anni novanta studi sulle produzioni lattiero casearie tradizionali siciliane, seguendo
un approccio di filiera. L’obiettivo finale è quello di elevare le produzioni casearie
storiche, ottenute con processi tradizionali, a delle vere opere d’arte da annoverare tra i beni
culturali italiani.
Il Corfilac studia le specificità territoriali che caratterizzano i formaggi storici siciliani e tra questi il formaggio Ragusano e il Pecorino siciliano.
Ultimamente il Consorzio Corfilac è impegnato in due progetti a livello internazionale: uno nelle aree rurali del Benin, l’altro in Algeria.
Entrambi sono modelli di studio prevalentemente di tipo socio-culturale e tecnico-scientifico.
Il Consorzio ultimamente è impegnato anche alla realizzazione della prima Cacioteca regionale in Italia. Trattasi di una struttura in  cui verranno ricreati gli ambienti storici di stagionatura dei principali formaggi tradizionali siciliani e non solo.
Prosegue attivamente anche l’attività sperimentale del “Progetto scuola”, rivolta agli Istituti scolastici
con due attività ludico didattiche “Casaro per un  giorno” e i “Laboratori del gusto”. La prima attività permette agli studenti di scoprire tutte le fasi di lavorazione del latte, mentre i laboratori del gusto nient’altro sono che dei percorsi di degustazione didattica in abbinamento al gioco. Con questa tecnica, i giovani studenti imparano a diventare veri e propri
assaggiatori di formaggi.

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