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Gesualdo Bufalino e Piero Guccione. Storia di un'amicizia

Il 6 Maggio presso la Fondazione “Bufalino” di Comiso si è tenuto un seminario su Bufalino e Guccione: riportiamo qui parte della relazione di Giuseppe Pitrolo

Gesualdo Bufalino e Piero Guccione. Storia di un'amicizia

Comiso - E’ forte legame di Bufalino e Guccione col territorio e con la cultura internazionale: Bufalino è vissuto – praticamente – sempre a Comiso, ma viveva in Europa (a Parigi Dublino Praga Mosca…) per mezzo della cultura. Guccione è andato via presto da Scicli, a Roma, da cui è tornato definitivamente a Scicli nel 1979: in entrambi abbiamo non l’insularità arcaica della regressione, ma l’apertura che fa riscoprire l’identità, con Guccione più vicino alla cultura tedesca e Bufalino a quella francese.

Entrambi hanno avuto il problema del doversi confrontare con la realtà e con l’arte dopo le Avanguardie. Bufalino è partito dalla Modernità di Baudelaire e Proust per arrivare a Kafka, Beckett, Blixen, Borges, superando così il dibattito letterario degli anni Quaranta–Cinquanta. Guccione è partito da Cezanne e dagli Espressionisti, valicando le polemiche degli anni Cinquanta–Sessanta su Realismo/Astrattismo/Informale e approdando a Bacon, che insegna che si può essere nell’Avanguardia e oltre l’Avanguardia.

Entrambi sanno essere nella tradizione però forzandola, essere nel Novecento però tenendo presente la classicità. Bufalino parte (sempre) da un autore, da un testo pre-esistente: Proust, certo, ma vedi soprattutto i “rifacimenti” de “L’uomo invaso” e de “Le menzogne della notte” (come hanno ben dimostrato Traina e Zago). Guccione ha sempre praticato i d’apres. Ed entrambi applicano nella loro ricerca il procedimento delle “variazioni su un tema” tipico dei musicisti: quel procedimento per cui un “tema” musicale viene variato, modificato, reinterpretato. Allo stesso modo Bufalino e Guccione ritornano incessantemente su alcuni temi, sui quali “variano”: per Guccione il mare, ma anche le città, le automobili, gli aeroporti, la campagna iblea, i carrubi, i fiori, gli ibischi,…; per Bufalino i grandi temi praziani del Romanticismo e del Decadentismo (l’amore, la malattia, la morte, la ricerca “atea e tremante” di Dio, la quete del “minuto d’oro”) e altri tipici del secondo Novecento (la memoria come sogno, la “letteratura come menzogna”, ficciòn, salvezza) e di Bufalino (la “sicilitudine”, “l’isolitudine”). Insomma, hanno entrambi lavorato a dei d’apres… Il pittore coi d’apres si fa inter-prete, cioè mediatore, se non messaggero, dell’opera di un collega. L’attenzione di Guccione per i d’apres dura dagli anni Cinquanta di Luca Signorelli ai Velazquez odierni. Bufalino ha anche scritto tanto su tanti scrittori: e uno scrittore parlando di uno scrittore parla, in fondo, di se stesso. Allo stesso modo anche per Guccione i d’apres sono uno strumento per leggersi dentro, per chiarirsi. Guccione sembrerebbe un “ordinatore del caos” (Trucchi), Bufalino vorrebbe essere un “disordinatore” dell’ordine: vedi anche il bufaliniano gusto dadaista e sterniano dello sberleffo. Bufalino e Guccione sono, infine, intellettuali del secondo Novecento, dei “postmoderni classici” (o “classici postmoderni”?): tentano entrambi di dare rappresentazione a questi nostri decenni “liquidi” (Bauman). Come fare arte in un’epoca “sdrucciolevole”? E’ questo il problema che hanno dovuto affrontare gli ultimi umanisti, sia pure “umanisti del bradisismo”: dare forma all’informe, strutturare l’indefinito: possiamo pensare a Borges, Bacon, Bunuel, Fellini, Garcia Marquez, Kubrick, Kundera, Arvo Part (è suo il “Miserere” che chiude “Habemus papam”…); possiamo pensare a Calvino, che così scriveva su Mann: “C’è Thomas Mann, si obietta: e sì, lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da un’estrema ringhiera dell’Ottocento. Noi guardiamo il mondo precipitando nella tromba delle scale”.

Anche Gesualdo Bufalino e Piero Guccione hanno dato voce all’abisso, tramutando “il rumore del mondo” in melodia.

 

Giuseppe Pitrolo

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