Forum C'era una volta - IngegniCulturaModica2024-03-29T12:16:37Zhttp://ingegniculturamodica.ning.com/group/ceraunavolta/forum?feed=yes&xn_auth=noIngegniCultura presenta raccolta di poesie dialettali di Peppe Casatag:ingegniculturamodica.ning.com,2013-02-06:3900264:Topic:542292013-02-06T20:44:00.567Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<p><a href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061610815?profile=original" target="_self"><img class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061610815?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"></img></a></p>
<p>IngegniCulturaModica, promotrice del progetto “C’era una volta”, non poteva lasciare inosservato il prezioso lavoro, una raccolta di poesie in dialetto, di Peppe Casa “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”, Editore Petralia in omaggio al quartiere alto della città, San Giovanni, dove l’autore è nato e cresciuto.</p>
<p>Con la presentazione della raccolta poetica di…</p>
<p><a target="_self" href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061610815?profile=original"><img width="750" class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061610815?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"/></a></p>
<p>IngegniCulturaModica, promotrice del progetto “C’era una volta”, non poteva lasciare inosservato il prezioso lavoro, una raccolta di poesie in dialetto, di Peppe Casa “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”, Editore Petralia in omaggio al quartiere alto della città, San Giovanni, dove l’autore è nato e cresciuto.</p>
<p>Con la presentazione della raccolta poetica di Casa, di fatto l’associazione dà avvio all’anno sociale 2013 con un occhio rivolto, in termini progettuali, a Modica Alta che vanta il diritto della primogenitura di Modica in quanto borgo medioevale fino al terremoto del 1693 quando è stato quasi completamente distrutto. Oggi comunque ,nonostante tutto l’osservatore attento in quell’area ed in quel tessuto urbano può leggere segni, espressioni e segreti dell’epoca.</p>
<p>L’opera di Casa sarà presentata venerdì 15 febbraio 2013 alle ore 17,30 nei locali della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Corso Umberto.</p>
<p>L’incontro coordinato da Mario Incatasciato, presidente di IngegniCultura , con la presenza dell’autore prevede gli interventi del dott. Carmelo Iacono, presidente di Oncoibla Onlus Ragusa e dell’avv. Miriam Dell’Ali legale del Comune di Modica e già dirigente della Polizia Municipale di Modica corpo di cui Peppe Casa ha fatto parte con il ruolo di Ispettore Superiore.</p>
<p>Nel corso della serata, allietata dal gruppo musicale Y Guisar di Guido Cicero e Saro Cannizzaro, Saro Spadola leggerà alcuni brani di “Viddani, Mastri e Cavalieri di Modica”.</p>
<p>Il ricavato della vendita del libro sarà devoluto dall’autore alla Oncoibla Onlus di Ragusa.</p>
<p>Peppe Casa, storico vigile urbano del Comune di Modica , originario di Modica Alta quartiere da sempre custode di antiche tradizioni, di vecchi modi di dire, di ricordi e sentimenti antichi, si è servito del dialetto come mezzo per la sua prima raccolta di liriche.</p>
<p>Questione di scelta! I motivi che spingono un poeta ad adottare il dialetto come lingua della propria poesia sono molteplici: per alcuni il dialetto risponde ad un bisogno profondo di diversità o ad un ripristino dei momenti perduti; per altri l’uso del dialetto consente di selezionare ricordi, cose e personaggi che non potrebbero avere significato fuori dal contesto in cui sono collocati; per altri adoperare il dialetto come strumento di comunicazione poetica equivale quasi ad una rivalsa della cultura periferica sulla cultura egemone.</p>
<p>Per molto tempo, e purtroppo, anche ai giorni nostri il modo peggiore di intendere e valutare la natura e la funzione della poesia dialettale è stato quello di ritenerla un sottoprodotto culturale, di farla derivare dalle forze sociali meno progredite e di collocarla pertanto nella sfera del folclore.</p>
<p>Oggi, mentre il dialetto agonizza come mezzo colloquiale, esso può riservare come nel caso della poesia di Peppe Casa, la sorpresa di una produzione rilevante per la quantità e la qualità e con motivazioni che vanno al di là delle mode.</p>
<p>Può capitare che alla cultura della modernità si contrapponga in qualche caso una ripresa del particolarismo culturale, un bisogno di apparentamento ad una tendenza a recuperare quella identità etnico culturale che oggi sembra emarginata.</p>
<p>Sotto questo profilo, coerenza e consapevolezza critica sono sempre presenti nella produzione di Casa che cerca di riportare la parola alla sua originaria dignità, a restituirle il fascino dell’immaginazione.</p>
<p>La matrice popolare del suo linguaggio non sa di fittizio; ricca lessicalmente ricorda le movenze di quei cantastorie che a Modica Alta sulle scalinate della Chiesa di San Giovanni, la domenica mattina, in presenza di “viddani”, “mastri” e “cavalieri”, nel dialetto trovano l’unico modo tecnico capace di dare una significazione poetica al loro modo di concepire la vita, il mondo ed il destino umano.</p>
<p>I versi di Peppino Casa presentano intuizioni e slanci nell’osservazione delle “piccole cose”, dei “mestieri di una volta”, nella constatazione delle mutazioni della natura che sente vicina ed è spinto a scoprirla e a sentirla secondo il ritmo delle pulsazioni emotive e dei sentimenti.</p>
<p>Ora è a “Muttidda”, il frutto del mirtillo, vista nelle sue varie qualità ad interessarlo e a proporne le delizie” Che bella, cchie aruci eni a muttidda ri Nuotu”, ora è un oggetto “a munacchedda” “una re cosi strummintati…..ca serivi ppi mettiri u scaffamanu intro o liettu”; ora la sua attenzione si sposta verso la famiglia, gli affetti , “mamà, tarriuordi cuannera picciriddu e mappuiava a testa nte ta anchi”.</p>
<p>E gli esempi potrebbero continuare all’infinito ma lasciamo che sia il lettore a scoprirli.</p> Poesia "Nina", tratta dal testo "Muòrica è 'mpaisi" di Meno Assenzatag:ingegniculturamodica.ning.com,2013-01-19:3900264:Topic:541182013-01-19T18:15:44.208ZGino Salinahttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/GinoSalina
<div class="actorDescription actorName"><a href="http://www.facebook.com/gino.salina.3" id="js_23" name="js_23">Gino Salina</a></div>
<h5 class="uiStreamMessage userContentWrapper"><span class="messageBody">Conosco questa poesia da alcuni decenni. La recito spesso a mia moglie, che si chiama Antonietta, e che affettuosamente chiamo spesso Nina.<br></br> <br></br> NINA<br></br> <br></br> Nina,<br></br> <span class="text_exposed_show">ci piensi quannu na matina<br></br> vinisti pi purtari lu criscenti?<br></br> Trasisti…</span></span></h5>
<div class="actorDescription actorName"><a href="http://www.facebook.com/gino.salina.3" id="js_23" name="js_23">Gino Salina</a></div>
<h5 class="uiStreamMessage userContentWrapper"><span class="messageBody">Conosco questa poesia da alcuni decenni. La recito spesso a mia moglie, che si chiama Antonietta, e che affettuosamente chiamo spesso Nina.<br/> <br/> NINA<br/> <br/> Nina,<br/> <span class="text_exposed_show">ci piensi quannu na matina<br/> vinisti pi purtari lu criscenti?<br/> Trasisti senza mancu riri nenti<br/> Ccu gnarofulu biancu am’pittirina.<br/> Iu, m’arriuordu, ch’ era nta cucina<br/> E ma matri, bonamma, ca cusia,<br/> rissi accussì, pi fallu sentri a mìa:<br/> “cchi ci voli pi birri a signurina!”<br/> Tu arrussiasti appena m’affacciai;<br/> ma matri,gghiurizziusa, nisciu fora,<br/> e m’arriuordu, comu fussi ora,<br/> ca nta sta ucca bedda ti vasai.<br/> “Ca ,sempri pi sta cosa priputenti!<br/> S’apprufittau ch’era nta so casa.<br/> Allura, lu ialera stringi e basa,<br/> Ca scusa ri talierimi u pinnenti”.<br/> Comu passa lu tiempu, cara Nina,<br/> tutti rui n’arruaumu a quaranta,<br/> ora se bbuotu e gghiru n’agghiu ottanta<br/> e tu cummatti cu la sittantina.<br/> E ggheni tutta cinniri ddu fuocu<br/> E quantu prima veni la spartenza;<br/> ma nt’angustiari, Nina, picchì pensa<br/> ca gn’uornu n’ancuntramu ne ddu luocu.</span></span></h5> Botteghe che andavano per via: “u scuparu” e “u cannizzaru”tag:ingegniculturamodica.ning.com,2013-01-16:3900264:Topic:541122013-01-16T18:52:37.527Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Le visibili trasformazioni cui è stata soggetta la nostra società in questi ultimi decenni, con il declino dei mestieri tradizionali cancellati dalla tecnologia industriale, hanno alimentato l’urgenza del recupero e della valorizzazione di tutte quelle testimonianze raccolte e sistemate nei musei etnoantropologici che illustrano un mondo di esperienze secolari e di creatività manuale in cui sono stati fissati tradizioni di lavoro…</span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Le visibili trasformazioni cui è stata soggetta la nostra società in questi ultimi decenni, con il declino dei mestieri tradizionali cancellati dalla tecnologia industriale, hanno alimentato l’urgenza del recupero e della valorizzazione di tutte quelle testimonianze raccolte e sistemate nei musei etnoantropologici che illustrano un mondo di esperienze secolari e di creatività manuale in cui sono stati fissati tradizioni di lavoro e rapporti di produzione.<br/> <img src="http://www.ingegnicultura.it/public/immagini/cannizzaru.jpg" alt="" align="left" height="191" width="200"/>Folte schiere di uomini e donne, anonimi protagonisti, spesso ignorati dalla storia ufficiale sono stati pazienti tessitori dell’identità collettiva e anche dell’immagine delle città.</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> <span style="font-family: Arial;"><span style="font-weight: bold;">Gesualdo Bufalino</span> nelle pagine del suo “<span style="font-weight: bold;">Museo d’ombre</span>” definisce questi mestieri “<span style="font-weight: bold;">attività vagabonde, esercitate all’aria aperta col consenso del sole, della pioggia, del vento: mestieri da picaro; immagini per un bambino che so di invidiata felicità</span>”.<br/> Gli arnesi, i manufatti, gli aneddoti e la storia di questi lavori, cancellati dal progresso tecnologico, non debbono essere dimenticati e proprio per questo noi continuiamo la</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> nostra rassegna dei mestieri perduti, proponendo quello dello “<span style="font-weight: bold;">scuparu</span>” e del “<span style="font-weight: bold;">cannizzaru</span>”.</p>
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Tra i tanti itinerari offerti dal nostro territorio anche questi riteniamo concorrano ad intrecciare i fili su cui viaggia la continuità dei valori storici collegando gli oggetti conservati nei musei della nostra provincia alle peculiarità paesaggistiche, architettoniche ed etnoantropologiche esistenti nel territorio.</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> <span style="font-family: Arial;">“<span style="font-weight: bold;">U scuparu</span>” era l’artigiano del domestico utensile, la scopa, nata dalla maestria con cui le sue mani piegavano, intrecciavano e tessevano le lacinie essiccate della “<span style="font-weight: bold;">chamerops humilis</span>”<span style="font-weight: bold;">palma nana</span>, pianta spontanea della macchia mediterranea che cresce e vegeta nei luoghi aridi ed assolati. Dalle</span> <span style="font-family: Arial;">sue foglie verdi ,distese a ventaglio, “ u scuparu” realizzava le <span style="font-weight: bold;">scope</span> e poi anche <span style="font-weight: bold;">corde</span>, “<span style="font-weight: bold;">coffe</span>” contenitori e “<span style="font-weight: bold;">ciuscialora</span>”soffietti.<br/> La tecnica della realizzazione della scopa consisteva nell’intrecciare le lacinie della “<span style="font-weight: bold;">scupata</span>” lungo la corda-telaio tesa dalla cintura dei pantaloni dell’artigiano fino ad uno dei suoi piedi. Con l’espressione “<span style="font-weight: bold;">antrizzari a scupa</span>” si indica il processo</span> <span style="font-family: Arial;">di manifattura vera e propria che consiste nel legare fortemente al filo teso, i “<span style="font-weight: bold;">mazzuna</span>”(gruppi di foglie di palma nana raccolti a gruppi di cinque-sei) e formare così i dieci dodici mazzetti da stringere e legare insieme in un unico fascio.<br/> Ormai nessuno si cura più di raccogliere “a scupata”, foglie secche della</span> <span style="font-family: Arial;">palma nana, per la realizzazione delle caratteristiche scope. Tanti ,di contro, quelli che arredano i propri giardini con la cosiddetta palma di San Pietro spesso sottratta alle zone di coltivazioni protette.<br/> “<span style="font-weight: bold;">U cannizzaru</span>” si avvaleva, invece, della comune <span style="font-weight: bold;">canna</span> (arando donax) e di <span style="font-weight: bold;">virgulti di olivastro</span>, di <span style="font-weight: bold;">melograno</span> e di <span style="font-weight: bold;">salice</span> per realizzare oggetti d’uso quotidiano e domestico,ormai definitivamente scomparsi, per l’irrompere dei materiali in plastica. Ricordiamo le “<span style="font-weight: bold;">cavagne</span>” forme sottili coniche per</span> <span style="font-family: Arial;">contenere la ricotta, il “<span style="font-weight: bold;">cannizzu</span>” silos per conservare il frumento, le “<span style="font-weight: bold;">cruedda</span>” contenitori per il trasporto di merci, il “<span style="font-weight: bold;">panaru</span>” cesto utilizzato per numerosi usi, e tante altre realizzazioni.<br/> Rispetto alla numerosa gamma dei manufatti realizzati, ben pochi erano gli attrezzi utilizzati da questo artigiano. Si affidava alla perizia delle sue mani per piegare i listelli della canna con cui confezionava i citati oggetti, i graticci e</span> <span style="font-family: Arial;">perfino <span style="font-weight: bold;">girandole sonore</span> per spaventare con il loro rumore gli uccelli e allontanarli dai campi coltivati.<br/> La facile reperibilità della pianta molto diffusa nelle campagna degli</span> <span style="font-family: Arial;">iblei e la grande versatilità di intreccio, documentata dagli oggetti possibili da realizzare, attestano il largo uso cui era destinata la canna comune nel mondo contadino.<br/> Con essa venivano realizzati anche i tetti delle case, gli <span style="font-weight: bold;">zufoli</span> e i “<span style="font-weight: bold;">ditali</span>” che coprivano le dita della mano sinistra dei mietitori per evitare di ferirsi con la falce.<br/> Strumenti del cannizzaru erano: il “<span style="font-weight: bold;">ciaccaturi</span>”, attrezzo in ferro e legno per tagliare longitudinalmente in</span> <span style="font-family: Arial;">due strisce gli steli di canna; la “ <span style="font-weight: bold;">cruci di lingu</span>”, costituita da due rametti lignei riuniti a croce, utilizzata per ottenere da uno stesso stelo quattro stecche corrispondenti e poi roncole, falci, succhielli e mazze di legno.<br/> E a proposito di questi pazienti tessitori dell’identità collettiva che interrarono, nei pendii collinari, semi di civiltà vogliamo chiudere questa nostra riflessione sempre con le parole di Gesualdo Bufalino “ Una</span> <span style="font-family: Arial;">civiltà è specialmente la ricchezza dei suoi mestieri. Ognuno dei quali nella propria cellula chiusa s’inventa mimiche, abbigliamenti, linguaggi, contegni, aneddoti di commozioni o di scherzo, una pedagogia,una morale. Queste erano le botteghe sino a poco tempo fa coaguli di cultura sufficienti a se stessi, regni dove il re si chiamava “<span style="font-weight: bold;">mastru</span>”, e cioè maestro di martello, d’ascia, di trincetto, di tornio…”.<br/></span> <br/> Servizio curato da <span style="font-weight: bold;">Ingegnicultura</span>, laboratorio di progettazione e servizi per l’ingegneria e i beni culturali di <span style="font-weight: bold;">Modica</span>.<br/> Sito web: <a href="http://www.ingegnicultura.it/">www.ingegnicultura.it</a><br/> Contatti: <a href="http://cultura@ingegnicultura.it/">cultura@ingegnicultura.it</a></p>
<p>Autore: Mario Incatasciato</p> Il lavoro di una voltatag:ingegniculturamodica.ning.com,2013-01-15:3900264:Topic:537992013-01-15T21:19:08.304Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<h3>Aspetti dell’area iblea tra passato e futuro</h3>
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<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;"> L’analisi dei documenti giacenti presso l’Archivio di Stato di Ragusa e della sezione di Modica agevola</span> sicuramente la ricostruzione di un quadro esaustivo delle <span style="font-weight: bold;">professioni</span>, delle <span style="font-weight: bold;">arti</span> e dei <span style="font-weight: bold;">mestieri</span> esercitati nei tredici comuni dell’…</p>
<h3>Aspetti dell’area iblea tra passato e futuro</h3>
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<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;"> L’analisi dei documenti giacenti presso l’Archivio di Stato di Ragusa e della sezione di Modica agevola</span> sicuramente la ricostruzione di un quadro esaustivo delle <span style="font-weight: bold;">professioni</span>, delle <span style="font-weight: bold;">arti</span> e dei <span style="font-weight: bold;">mestieri</span> esercitati nei tredici comuni dell’<span style="font-weight: bold;">area iblea,</span> nell’Ottocento e nei primi del Novecento.</p>
<p style="text-align: justify;"><img src="http://www.ingegnicultura.it/public/immagini/muri%20a%20secco.jpg" alt="" align="left" height="160" width="250"/>Questi documenti rappresentano una chiave di lettura di rilevante importanza per uno studio sistematico delle attività lavorative esercitate dalla popolazione iblea, al fine di un’analisi ampia e particolareggiata della società locale. Corposa e variegata, con differenziazioni di tipologie, di arti, mestieri e professioni, risulta essere la popolazione dei tredici comuni iblei negli ultimi due secoli. Particolarmente nutrita la categoria del ramo giuridico: <span style="font-weight: bold;">avvocati</span>, <span style="font-weight: bold;">notai</span> e <span style="font-weight: bold;">giudici</span>. Non particolarmente numerosa quella dei medici ed in particolare dei chirurghi, mentre quasi tutti i comuni potevano contare sulla presenza di almeno un farmacista u “<span style="font-weight: bold;">spiziale</span>”. Numerosi i “<span style="font-weight: bold;">possidenti</span>” a sottolineare il forte rapporto con la terra e i suoi prodotti che ancora oggi rappresentano la maggiore fonte di ricchezza e la migliore risorsa del territorio ibleo. L’<span style="font-weight: bold;">agricoltura</span>, ricca e variegata, e l’<span style="font-weight: bold;">allevamento</span> di diversi capi <span style="font-weight: bold;">di bestiame</span>, hanno sostenuto e <span style="font-family: Arial;">sostengono ad oggi una larga percentuale della popolazione, situando questo</span> territorio in una posizione di grande privilegio nello scacchiere nazionale e internazionale. Da un attento sguardo alle professioni, alle arti e ai mestieri esercitati dagli abitanti dei comuni iblei, si riceve l’immagine di una struttura sociale a base agricola e contadina con la presenza numerosa di settori artigianali variegati e in continua espansione. Il mestiere di <span style="font-weight: bold;">bracciante,</span> un tempo, impegnava buona parte della popolazione maschile, coinvolta in attività suppletive quali quelle di giardiniere, ortolano, erbaiolo, fruttaiolo, etc. In relazione all’allevamento di bestiame numerosi erano i <span style="font-weight: bold;">caprai</span>, i <span style="font-weight: bold;">pecorai</span>, i <span style="font-weight: bold;">boari</span>, quest’ultimi in virtù della presenza nel territorio ibleo dell’ottima razza di <span style="font-weight: bold;">bovini modicani</span> che ancora oggi fornisce carne e formaggi pregiati e rinomati. I <span style="font-weight: bold;">porcari</span> erano presenti prevalentemente nel territorio di <span style="font-weight: bold;">Chiaramonte Gulfi</span>, località ancora oggi rinomata per l’allevamento e la preparazione delle carni suine. Molte <span style="font-weight: bold;">donne</span>, in quasi tutti i comuni della provincia, svolgevano mestieri collegati all’arte tessile e <span style="font-weight: bold;">manifatturiera</span>. C’erano <span style="font-weight: bold;">calzettaie</span>, <span style="font-weight: bold;">cardatrici</span>, <span style="font-weight: bold;">filandiere</span>, <span style="font-weight: bold;">ricamatrici</span> e <span style="font-weight: bold;">tessitrici</span>. <span style="font-family: Arial;">Vivace e variegato, ieri e oggi, il mondo dell’artigianato, a testimonianza di una società estremamente attiva e laboriosa. Tra i lavori più frequenti il <span style="font-weight: bold;">fabbro</span>, il <span style="font-weight: bold;">falegname</span>, il <span style="font-weight: bold;">mugnaio</span>, il <span style="font-weight: bold;">mielaio</span>, il <span style="font-weight: bold;">calzolaio</span>.</span> Un certo numero di abitanti era occupato nella gestione di determinati <span style="font-weight: bold;">servizi</span> necessari ed indispensabili da fornire alle comunità cittadine. Diversi i <span style="font-weight: bold;">barbieri</span>, le <span style="font-weight: bold;">lavandaie</span> ed i <span style="font-weight: bold;">domestici</span>. Quest’ultimi, sia uomini che donne. Numerosi coloro che erano impegnati nel settore delle vendite e del <span style="font-weight: bold;">commercio</span> di prodotti di varia natura, prevalentemente nel campo dei generi alimentari. Ricca e particolarmente assortita la categoria dei venditori, molti dei quali forniti di bottega. E’ nostra intenzione partendo da un’analisi dei documenti relativi ai mestieri e alle professioni, attraverso le pagine di questo giornale, fare una sorta di ricognizione dei lavori affiancando a ciascuno di essi il tipo di attività esercitata. In questo excursus privilegeremo in maniera particolare quei mestieri che nel tempo sono andati perduti o comunque sono prossimi alla definitiva scomparsa. Individuare i nomi di coloro che erano impegnati in determinati mestieri e professioni significa comprendere in quale misura queste attività oggi siano una sorta di eredità che potrebbe fornire suggestioni interessanti anche per comprendere l’attuale società iblea. Ci occuperemo di volta in volta del <span style="font-weight: bold;">“mastru re mura a siccu</span>”, dello “<span style="font-weight: bold;">scuparu</span>”, del “<span style="font-weight: bold;">cruviddaru</span>”, del “<span style="font-weight: bold;">sunnunaru</span>”, “del “<span style="font-weight: bold;">vuttaru</span>” del “<span style="font-weight: bold;">mastru re carretta</span>” etc ..</p>
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">L’insieme delle peculiarità cui si è fatto cenno sembra essere un patrimonio culturale condiviso e sacralizzato nella memoria collettiva, talché il “nuovo” tragga forza e ragione dal “passato”.<br/> La tutela e la riqualificazione ambientale, insieme al recupero dei valori perduti, rappresenta oggi, in un momento di grave crisi , un investimento di risorse per produrre nuovi ed originali valori economici a partire ad esempio dallo sviluppo controllato del turismo culturale e naturalistico; dai prodotti dell’agricoltura biologica e dal rilancio degli antichi mestieri, eredità pervenutaci dai nostri avi.<br/></span> <br/> Servizio curato da <span style="font-weight: bold;">IngegniCultura Modica</span></p> La mietitura e la trebbiatura nella Contea di Modicatag:ingegniculturamodica.ning.com,2012-05-28:3900264:Topic:467222012-05-28T14:56:48.171Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<h3>Un viaggio nella memoria attraverso le usanze ed i costumi dei contadini</h3>
<p><span style="font-family: Arial;">I contadini nella Contea di Modica hanno costituito la parte più sana e più laboriosa del popolo di questo territorio. Con le loro pratiche hanno conservato nel corso dei secoli un patrimonio ricco di costumi e tradizioni che purtroppo è già scomparso.<br></br> Fra tutte le attività che il contadino svolgeva nel corso dell’anno, quelle della…</span></p>
<h3>Un viaggio nella memoria attraverso le usanze ed i costumi dei contadini</h3>
<p><span style="font-family: Arial;">I contadini nella Contea di Modica hanno costituito la parte più sana e più laboriosa del popolo di questo territorio. Con le loro pratiche hanno conservato nel corso dei secoli un patrimonio ricco di costumi e tradizioni che purtroppo è già scomparso.<br/> Fra tutte le attività che il contadino svolgeva nel corso dell’anno, quelle della <span style="font-weight: bold;">mietitura</span> e della <span style="font-weight: bold;">trebbiatura</span> rappresentavano il coronamento delle speranze e delle fatiche di tanti mesi di sacrifici.<br/> Questo lavoro tanto impegnativo purtroppo doveva essere affrontato sotto i cocenti raggi del sole siciliano. Il contadino attendeva con trepidazione il mese di giugno tanto da andare in pellegrinaggio al Santuario della Madonna delle Grazie nel centro storico di Modica per portare un mazzo di spighe, mentre le donne non mancavano di osservare la “tredicina” al Santo di turno affinché intercedesse per una buona mietitura.<br/> Quando arrivava il mese di giugno i contadini a gruppi partivano dai loro borghi con i “carretti” carichi di masserizie per raggiungere i luoghi dove dovevano procedere alla mietitura. Durante la notte si riposavano all’ombra di qualche albero e allo spuntare del giorno erano tutti presenti al campo da mietere. Quest’ultimo dai contadini, convenzionalmente, veniva diviso in varie sezioni “ “<span style="font-weight: bold;">mpara</span>”come linee guida del lavoro che essi dovevano effettuare.<br/> Il “<span style="font-weight: bold;">ligaturi</span>” ,contadino incaricato di stabilire i posti ed i compensi, indicava il punto da dove si doveva cominciare a mietere ed i contadini indossato il “<span style="font-weight: bold;">pittali</span>” infilato nel braccio sinistro, il “<span style="font-weight: bold;">bracciali</span>” entrambi di cuoio e con tre ditali fra le dita “<span style="font-weight: bold;">canneddi</span>”, formavano la riga con in testa il più forte ed abile “<span style="font-weight: bold;">u caporali ri lautu</span>” ed in coda il meno valido" <span style="font-weight: bold;">u caporali ri la ristuccia</span>”.<br/> Ancora più indietro stava il “ligaturi” il quale facendosi il segno della croce dava il segnale di avvio dei lavori con l’espressione “sia lodato e ringraziato lu Santissimu e Divinissimu Sacramentu”.<br/></span></p>
<div>I mietitori rispondevano “sempre sia lodatu” e incurvandosi a falciare al primo taglio mormoravano “in nome ri Diu”. Lavoravano fino a quattordici ore al giorno, con sveltezza e rapidità sotto il sole cocente estivo e per tenere alto il morale e le forze consumavano molto vino che attingevano dal “<span style="font-weight: bold;">passaturi</span>”,bariletto, così chiamato perché ad ogni passaggio di esso il capo recitava una orazione ad un Santo.</div>
<p><span style="font-family: Arial;">Alla fine della dura giornata di lavoro nel “<span style="font-weight: bold;">bagghiu</span>” della casa colonica si consumava un pasto a base di pasta versata in un’enorme madia attorno alla quale si sedevano tutti i mietitori.<br/> Consumato il pasto e recitate le preghiere della sera al suono dei "<span style="font-weight: bold;">friscaletti</span>” e dei “<span style="font-weight: bold;">tamburieddi</span>” si dava vita a canti e balli scatenati. Infine stanchi e sfiniti cadevano in un sonno profondo fino all’alba, per poi ricominciare una nuova giornata di lavoro.<br/> Il contadino durante la mietitura portava con sé l’asino, il cane ed una sua donna (moglie, figlia o</span> madre) come “<span style="font-weight: bold;">spicalora</span>” spigolatrice. Quest’ultima, però, non poteva entrare nei campi mentre si mieteva. Solamente dopo che i covoni venivano trasportati fuori la si autorizzava ad entrare a “<span style="font-weight: bold;">scogghiri</span>” fra le stoppie.<span style="font-family: Arial;">Ognuna di esse portava con sé un sacco grande ed un sacco piccolo che riempitolo di spighe andava a svuotare in quello grande. Dopo aver spigolato per due terzi della giornata “la spicalora” tornava alla casa colonica e con una mazza sbatteva le spighe e quindi le spulava. Riusciva in questa maniera a racimolare quel poco di grano che serviva alla propria famiglia per sfamarsi durante la stagione invernale.<br/> I momenti più significativi della mietitura erano costituiti dal taglio delle spighe con le quali si formavano piccoli mazzi”<span style="font-weight: bold;">jemiti</span>” che raccolti in grandi covoni “<span style="font-weight: bold;">regne</span>” venivano legati con le “<span style="font-weight: bold;">liane</span>”</span>corde costituite da fibre naturali. Quindi si passava alla trebbiatura quando muli e giumente nell’aia calpestavano le spighe per sgranarle.<span style="font-family: Arial;">La trebbiatura per il nostro contadino era il coronamento di otto lunghi mesi di lavoro quando con indescrivibile sofferenza doveva affrontare questo impegnativo lavoro, sotto i raggi infuocati del sole “africano “ del Sud.<br/> Egli affrontava questo momento cantando testi infarciti di religiosità dai quali attingeva lena e sollievo.<br/> Il lavoro iniziava di buon mattino quando si procedeva a tagliare i fasci di spighe dal mucchio “<span style="font-weight: bold;">timugna</span>” per disporle scomposte e sparse nell’aia dove il contadino “caccianti” che teneva le redini sferzava con una fune una coppia di muli correndo loro dietro intorno all’aia.</span>Il “<span style="font-weight: bold;">caccianti</span>”, pur correndo e frustando gli animali, cantava i “<span style="font-weight: bold;">muttetti ri lu pisatu</span>” versi di lode e ringraziamento a Dio e ai Santi ed incitamento alle bestie per reagire alle grandi fatiche della trebbiatura.<span style="font-family: Arial;">Regolarmente ad ogni strofa nuova calava un colpo di sferza; tra l’una e</span> l’altra, passando un certo lasso di tempo, si inframmezzavano parole di incitamento come “<span style="font-weight: bold;">uocciu vivu! Vutamu! Jacca’, avanti avanti</span>!” e poi ancora “<span style="font-weight: bold;">arripigghiti</span>” svegliati, “<span style="font-weight: bold;">curuzzu e cuogghi ciatu</span>” prendi fiato e “<span style="font-weight: bold;">Viva Giesuzzu, Giuseppi e Maria</span>”.<span style="font-family: Arial;">Gli altri contadini stavano attorno e con il forcone , “<span style="font-weight: bold;">tradenta</span>” , riaccostavano al centro dell’aia le spighe che gli animali facevano saltar fuori.<br/> I contadini in quella occasione vestivano con camicia e mutande di tela ed in testa tenevano un largo cappello “<span style="font-weight: bold;">cappieddu ri curina</span>”. Quando le spighe erano state sufficientemente calpestate, le bestie venivano portate fuori per dare la possibilità ai contadini di “<span style="font-weight: bold;">vutari l’aia</span>”. Si passava quindi alla seconda “<span style="font-weight: bold;">cacciata</span>” a cui ne seguivano altre a seconda della qualità del grano e del caldo della giornata.<br/> Nell’ultima “cacciata”, allorché i fasci di spighe erano ridotti in paglia, il caccianti intonava una serie “<span style="font-weight: bold;">di</span> <span style="font-weight: bold;">muttetti</span>” con i quali congedava le bestie esauste per la fatica, e gli altri contadini ripetevano gli ultimi tre versi con voce più bassa per poi intonare il Credo e molti Pater per i Santi protettori delle loro fatiche.<br/> Le mule, finiti i canti, scappavano allegramente, saltando fuori dall’aia mentre il caccianti con il</span>“<span style="font-weight: bold;">mazzuni</span>” inzuppato in acqua ed aceto lavava le piccole ferite che aveva loro prodotto con la sferza.<span style="font-family: Arial;">Finita la “cacciata” uomini e donne iniziavano la “<span style="font-weight: bold;">spagghiata</span>” per separare i chicchi di frumento dalla paglia ed il tutto prima che sul finire del giorno calasse il vento.<br/> Dopo aver “<span style="font-weight: bold;">nisciuto a pagghia</span>” che veniva imbrigliata in una larga reta “<span style="font-weight: bold;">u saccu a pagghia</span>” e riposta nella "<span style="font-weight: bold;">casa ra pagghia</span>”, da servire per sfamare le bestie durante l’inverno, i contadini in attesa che una buona minestra li rinfrancasse, rimanevano nell’aia nella quiete campestre interrotta dal frinire delle cicale.<br/> Dopo cena, nell’aia iniziava un momento animatissimo fatto di scambi vicendevoli, di motti pungenti, di frasi equivoche e a doppio senso, scherzi, barzellette, giochi e sfide. Non mancavano contadini che si improvvisavano poeti recitando versi e neppure suonatori di friscaletti , marranzani e cembali che accompagnavano stornelli tradizionali.<br/> Duravano fino a quando il sonno con la complicità della stanchezza e del vino non li vinceva definitivamente.<br/> Finita la trebbiatura si trasportava il grano dalla campagna alla città con le mule che insieme costituivano le “<span style="font-weight: bold;">retine</span>”. Ogni “<span style="font-weight: bold;">retina</span>” era composta da <span style="font-weight: bold;">otto mule</span> e da un “<span style="font-weight: bold;">capu retina</span>” che le precedeva cantando struggenti canzoni d’amore, accompagnate dal suono delle campanelle poste sulle creste degli animali.<br/> I momenti e i riti di queste tradizioni, ormai scomparse per il sopravvento della tecnologia, sono mirabilmente rappresentati in versi dal poeta modicano Carlo Amore (1768/1841):<br/> “Partunu tutti contenti e fistanti, a quattro, a cincu, in sei li spicalori, cantunu assiemi muttetti brillanti o duci canzuneddi, o barcalori, e trippannu comu li baccanti sfoganu l’alligrizza ri lu cori, s’ammuttunu, s’ancugnunu, s’abbrazzunu e p’alligrizza ‘nterra s’arrumazzunu…… cui s’appizza rarrieri lu maritu, cui seguita lu frati, cui lu ziu, cu talia ri luntanu u sa zitu, misi abbuccuni, senza tuou né mio. Cu lu visu suratu e culuritu, cuogghiunu spichi cu alligrizza e briu, masculi, ranni e picciriddi e li lagnusi assi<span style="font-family: Arial;">cutanu i riddi”</span></span></p>
<p><span style="font-family: Arial;"><span style="font-family: Arial;"><a target="_self" href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061609460?profile=original"><img width="750" class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061609460?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"/></a></span></span></p> I lavori di un tempo . Botteghe che andavano per via: “u scuparu” e “u cannizzaru”tag:ingegniculturamodica.ning.com,2012-03-11:3900264:Topic:458412012-03-11T21:17:42.910Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Le visibili trasformazioni cui è stata soggetta la nostra società in questi ultimi decenni, con il declino dei mestieri tradizionali cancellati dalla tecnologia industriale, hanno alimentato l’urgenza del recupero e della valorizzazione di tutte quelle testimonianze raccolte e sistemate nei musei etnoantropologici che illustrano un mondo di esperienze secolari e di creatività manuale in cui sono stati fissati tradizioni di lavoro…</span></p>
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Le visibili trasformazioni cui è stata soggetta la nostra società in questi ultimi decenni, con il declino dei mestieri tradizionali cancellati dalla tecnologia industriale, hanno alimentato l’urgenza del recupero e della valorizzazione di tutte quelle testimonianze raccolte e sistemate nei musei etnoantropologici che illustrano un mondo di esperienze secolari e di creatività manuale in cui sono stati fissati tradizioni di lavoro e rapporti di produzione.<br/> <img src="http://www.ingegnicultura.it/public/immagini/cannizzaru.jpg" alt="" align="left" height="191" width="200"/>Folte schiere di uomini e donne, anonimi protagonisti, spesso ignorati dalla storia ufficiale sono stati pazienti tessitori dell’identità collettiva e anche dell’immagine delle città.</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> <span style="font-family: Arial;"><span style="font-weight: bold;">Gesualdo Bufalino</span> nelle pagine del suo “<span style="font-weight: bold;">Museo d’ombre</span>” definisce questi mestieri “<span style="font-weight: bold;">attività vagabonde, esercitate all’aria aperta col consenso del sole, della pioggia, del vento: mestieri da picaro; immagini per un bambino che so di invidiata felicità</span>”.<br/> Gli arnesi, i manufatti, gli aneddoti e la storia di questi lavori, cancellati dal progresso tecnologico, non debbono essere dimenticati e proprio per questo noi continuiamo la</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> nostra rassegna dei mestieri perduti, proponendo quello dello “<span style="font-weight: bold;">scuparu</span>” e del “<span style="font-weight: bold;">cannizzaru</span>”.</p>
<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: Arial;">Tra i tanti itinerari offerti dal nostro territorio anche questi riteniamo concorrano ad intrecciare i fili su cui viaggia la continuità dei valori storici collegando gli oggetti conservati nei musei della nostra provincia alle peculiarità paesaggistiche, architettoniche ed etnoantropologiche esistenti nel territorio.</span><span style="font-family: Arial;"><br/></span> <span style="font-family: Arial;">“<span style="font-weight: bold;">U scuparu</span>” era l’artigiano del domestico utensile, la scopa, nata dalla maestria con cui le sue mani piegavano, intrecciavano e tessevano le lacinie essiccate della “<span style="font-weight: bold;">chamerops humilis</span>”<span style="font-weight: bold;">palma nana</span>, pianta spontanea della macchia mediterranea che cresce e vegeta nei luoghi aridi ed assolati. Dalle</span> <span style="font-family: Arial;">sue foglie verdi ,distese a ventaglio, “ u scuparu” realizzava le <span style="font-weight: bold;">scope</span> e poi anche <span style="font-weight: bold;">corde</span>, “<span style="font-weight: bold;">coffe</span>” contenitori e “<span style="font-weight: bold;">ciuscialora</span>”soffietti.<br/> La tecnica della realizzazione della scopa consisteva nell’intrecciare le lacinie della “<span style="font-weight: bold;">scupata</span>” lungo la corda-telaio tesa dalla cintura dei pantaloni dell’artigiano fino ad uno dei suoi piedi. Con l’espressione “<span style="font-weight: bold;">antrizzari a scupa</span>” si indica il processo</span> <span style="font-family: Arial;">di manifattura vera e propria che consiste nel legare fortemente al filo teso, i “<span style="font-weight: bold;">mazzuna</span>”(gruppi di foglie di palma nana raccolti a gruppi di cinque-sei) e formare così i dieci dodici mazzetti da stringere e legare insieme in un unico fascio.<br/> Ormai nessuno si cura più di raccogliere “a scupata”, foglie secche della</span> <span style="font-family: Arial;">palma nana, per la realizzazione delle caratteristiche scope. Tanti ,di contro, quelli che arredano i propri giardini con la cosiddetta palma di San Pietro spesso sottratta alle zone di coltivazioni protette.<br/> “<span style="font-weight: bold;">U cannizzaru</span>” si avvaleva, invece, della comune <span style="font-weight: bold;">canna</span> (arando donax) e di <span style="font-weight: bold;">virgulti di olivastro</span>, di <span style="font-weight: bold;">melograno</span> e di <span style="font-weight: bold;">salice</span> per realizzare oggetti d’uso quotidiano e domestico,ormai definitivamente scomparsi, per l’irrompere dei materiali in plastica. Ricordiamo le “<span style="font-weight: bold;">cavagne</span>” forme sottili coniche per</span> <span style="font-family: Arial;">contenere la ricotta, il “<span style="font-weight: bold;">cannizzu</span>” silos per conservare il frumento, le “<span style="font-weight: bold;">cruedda</span>” contenitori per il trasporto di merci, il “<span style="font-weight: bold;">panaru</span>” cesto utilizzato per numerosi usi, e tante altre realizzazioni.<br/> Rispetto alla numerosa gamma dei manufatti realizzati, ben pochi erano gli attrezzi utilizzati da questo artigiano. Si affidava alla perizia delle sue mani per piegare i listelli della canna con cui confezionava i citati oggetti, i graticci e</span> <span style="font-family: Arial;">perfino <span style="font-weight: bold;">girandole sonore</span> per spaventare con il loro rumore gli uccelli e allontanarli dai campi coltivati.<br/> La facile reperibilità della pianta molto diffusa nelle campagna degli</span> <span style="font-family: Arial;">iblei e la grande versatilità di intreccio, documentata dagli oggetti possibili da realizzare, attestano il largo uso cui era destinata la canna comune nel mondo contadino.<br/> Con essa venivano realizzati anche i tetti delle case, gli <span style="font-weight: bold;">zufoli</span> e i “<span style="font-weight: bold;">ditali</span>” che coprivano le dita della mano sinistra dei mietitori per evitare di ferirsi con la falce.<br/> Strumenti del cannizzaru erano: il “<span style="font-weight: bold;">ciaccaturi</span>”, attrezzo in ferro e legno per tagliare longitudinalmente in</span> <span style="font-family: Arial;">due strisce gli steli di canna; la “ <span style="font-weight: bold;">cruci di lingu</span>”, costituita da due rametti lignei riuniti a croce, utilizzata per ottenere da uno stesso stelo quattro stecche corrispondenti e poi roncole, falci, succhielli e mazze di legno.<br/> E a proposito di questi pazienti tessitori dell’identità collettiva che interrarono, nei pendii collinari, semi di civiltà vogliamo chiudere questa nostra riflessione sempre con le parole di Gesualdo Bufalino “ Una</span> <span style="font-family: Arial;">civiltà è specialmente la ricchezza dei suoi mestieri. Ognuno dei quali nella propria cellula chiusa s’inventa mimiche, abbigliamenti, linguaggi, contegni, aneddoti di commozioni o di scherzo, una pedagogia,una morale. Queste erano le botteghe sino a poco tempo fa coaguli di cultura sufficienti a se stessi, regni dove il re si chiamava “<span style="font-weight: bold;">mastru</span>”, e cioè maestro di martello, d’ascia, di trincetto, di tornio…”.<br/></span> <br/> Servizio curato da <span style="font-weight: bold;">Ingegnicultura</span>, laboratorio di progettazione e servizi per l’ingegneria e i beni culturali di <span style="font-weight: bold;">Modica</span>.<br/> Sito web: <a href="http://www.ingegnicultura.it/">www.ingegnicultura.it</a><br/> Contatti: <a href="http://cultura@ingegnicultura.it/">cultura@ingegnicultura.it</a></p> Museo d'Estate 2011.I saluti a Modica Alta fra il fascino architettonico di S.Antonino e le dolcezze dello storico Bar Napoli.tag:ingegniculturamodica.ning.com,2011-09-11:3900264:Topic:327552011-09-11T10:24:29.528Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<p>La Rassegna “Museo d’estate 2011”, promossa da IngegniCultura volge al termine.</p>
<p>Per la definitiva conclusione mancano ormai un Aperitivo ad arte che si terrà il 15 settembre e una Conversazioni d’arte e di architettura del 25 settembre.</p>
<p>L’associazione e lo staff organizzativo hanno scelto l’appuntamento di oggi domenica 11 settembre fissato presso la Chiesa di S. Antonio a Modica Alta, quale Rendez Vous dell’intera manifestazione “Museo d’estate 2011”</p>
<p>La scelta non…</p>
<p>La Rassegna “Museo d’estate 2011”, promossa da IngegniCultura volge al termine.</p>
<p>Per la definitiva conclusione mancano ormai un Aperitivo ad arte che si terrà il 15 settembre e una Conversazioni d’arte e di architettura del 25 settembre.</p>
<p>L’associazione e lo staff organizzativo hanno scelto l’appuntamento di oggi domenica 11 settembre fissato presso la Chiesa di S. Antonio a Modica Alta, quale Rendez Vous dell’intera manifestazione “Museo d’estate 2011”</p>
<p>La scelta non è stata casuale in quanto con l’incontro dell’11 settembre in uno dei quartieri storici della città di Modica, ‘U Cunsulu”spesso dimenticato , si vuole esaltare il significato dell’intera manifestazione “Museo d’estate 2011” e la mission di una associazione culturale, IngegniCulturaModica, votata alla valorizzazione delle eccellenze insolite del territorio,ahimè tante, che spesso non fanno parte di quelle tessere che dovrebbero comporre il prestigioso mosaico dell’offerta culturale in città.</p>
<p>Alla Conversazione d’arte e d’architettura di stasera 11 settembre che avrà come tema “S.Antonio una chiesa…sulla chiesa. Il dintorno architettonico”, coordinata dalla prof.ssa Mirella Spillicchi”, sono invitati a partecipare gli enti , le istituzioni e le aziende che hanno reso possibile la realizzazione di tutti gli eventi compresi nel cartellone, nonché i giovani artisti che hanno allietato ed animato ciascuna serata. Un invito particolare viene rivolto agli organi di informazione locale ,giornali e tv, che hanno contribuito, e non poco, alla diffusione e al resoconto di ciascun appuntamento.</p>
<p>E chissà che la prossima tappa “impossibile” di IngegniCultura non possa essere proprio quella del quartiere “U Cunsulu”, con la Chiesa di Santo Antonino da una parte e l’Edicola del Calvario dall’altra, entrambi testimoni nel corso dei decenni, della laboriosità e dell’ingegnosità di un’intera classe artigiana ed operaia che ha caratterizzato e nobilitato la parte Alta della città di Modica.</p>
<p>A conclusione della serata non mancherà la consueta degustazione, per l'occasione nello storico Bar Napoli, centro di aggregazione sociale sin dal 1952.</p>
<p>Raffaele Di Grande, fondatore con il padre della rinomata e antica pasticceria e gelateria, sarà ben lieto di accogliere gli ospiti presenti ,per deliziarli con le sue prelibatezze richiamanti i sapori di una volta.</p>
<p><a target="_self" href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061608140?profile=original"><img width="750" class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061608140?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"/></a></p>
<p> </p> Canzone d'autore, Luigi Tenco e...dintorni. Domenica 28 agosto , Modica piazza Museo Campaillatag:ingegniculturamodica.ning.com,2011-08-24:3900264:Topic:308052011-08-24T10:19:06.668Zmario giovanni incatasciatohttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/mariogiovanniincatasciato
<p><b>Domenica 28 agosto</b><b>alle 21.30</b>, in piazza Campailla, Martino Modica ed il Maestro Enzo Alfano si esibiranno nello spettacolo “<b>Omaggio alla canzone d’autore …. Luigi Tenco e dintorni</b>”. Un concerto per voce e chitarra classica dedicato al cantautore genovese ma anche ad altri cantanti a lui artisticamente collegati come Sergio Endrigo,Gino Paoli, Nicola Arigliano, Tony Renis, Domenico Modugno, ecc..Nel corso della serata ai partecipanti verrà offerta una degustazionedi vini…</p>
<p><b>Domenica 28 agosto</b><b>alle 21.30</b>, in piazza Campailla, Martino Modica ed il Maestro Enzo Alfano si esibiranno nello spettacolo “<b>Omaggio alla canzone d’autore …. Luigi Tenco e dintorni</b>”. Un concerto per voce e chitarra classica dedicato al cantautore genovese ma anche ad altri cantanti a lui artisticamente collegati come Sergio Endrigo,Gino Paoli, Nicola Arigliano, Tony Renis, Domenico Modugno, ecc..Nel corso della serata ai partecipanti verrà offerta una degustazionedi vini d’autore a cura dell’enologo Di Marco ,dell’Azienda agricola Terre di Noto</p>
<p><a target="_self" href="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061608093?profile=original"><img width="750" class="align-full" src="http://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/2061608093?profile=RESIZE_1024x1024" width="750"/></a></p> Le leggende dei fantasmi di Iblatag:ingegniculturamodica.ning.com,2011-06-07:3900264:Topic:248142011-06-07T17:10:24.151ZGino Salinahttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/GinoSalina
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<h1 id="titolo">Le leggende dei fantasmi di Ibla</h1>
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<a title="Cultura | Alle Anime del Purgatorio | Le leggende dei fantasmi di Ibla" rel="lightbox[roadtrip]" href="http://www.sciclinews.com/immagini_articoli/1254959636_chiesa_delle_anime_del_purgatorio,_ragusa_ibla.jpg"><img src="http://www.ragusanews.com/admin/libs/show_image.php?file=http%3A%2F%2Fwww.sciclinews.com%2Fimmagini_articoli%2F1254959636_chiesa_delle_anime_del_purgatorio%2C_ragusa_ibla.jpg&width=235&height=235" alt="Le leggende dei fantasmi di Ibla"/></a><br />
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<div class="templatemo_leftcol_subcol-1"><div id="leggi_news"><div class="fullnews"><p>Ragusa - Storie che tramutano in leggende, frammezzate da secolari passaparola popolari che risiedono anche tra gli antichi luoghi di culto. Come quelle legate alla costruzione della <strong>Chiesa delle Anime del Purgatorio</strong>. Sono i vicini abitanti a tramandare la leggenda secondo la quale anticamente, nello stesso luogo dell’attuale edificio, dimorasse un palazzo nobiliare, abitato da una coppia di giovani sposi. E che lei, particolarmente bella, avesse ricevuto le avance persino di un sacerdote. Rifiutato dalla giovane donna, il sacerdote, in combutta con la servitù del palazzo, nascose una bibbia protestante sotto l’alcova dei giovani sposi, cosa che, sacrilegamente, causò la cattura, da parte della Santa Inquisizione, della coppia che venne celermente giustiziata.</p>
<p>Tormentato in seguito dai rimorsi, il sacerdote, preso da pentimento, acquistò il palazzo, lo fece demolire e costruì sulle medesime fondamenta la chiesa dedicata alle Anime del Purgatorio, forse le stesse anime che impunemente furono da lui condannate. È così che all’interno, molti confermano l’anteriorità dell’altare del crocifisso alla costruzione della stessa chiesa, aperta nel 1658. Perché sembra che quell’altare corrisponda alla cappella privata del palazzo che il pentito sacerdote non ebbe il coraggio di distruggere. A questa narrazione si lega una storia forse ancora più confusa.</p>
<p>Si dice che all’esterno della chiesa fossero degli anelli dove legavano i blasfemi che, cosparsi di miele, venivano lasciati ad una lenta ed inesorabile dipartita. Un’altra strana narrazione è legata alla chiesa di Santa Maria di Valverde, conosciuta come Madonna del Carmine perché sede dell’ex monastero carmelitano femminile. La presenza del convento, attestata sin da prima del XIIl secolo, è asserita da una tradizione orale tramandata dalle stesse suore un tempo presenti nel convento. Si narra come questa fondazione sia stata voluta da una regina che lì si era rifugiata con le sue dame perchè ripudiata dal marito. Alcuni parlano del re di Cipro che avrebbe sposato una delle figlie del conte Ruggero, fatto mai avvenuto; altri della stessa moglie del re Ruggero. Eppure l’ipotesi più veritiera vede la fondatrice come una nobildonna sposata e ripudiata, o vedova, a qualche signorotto di una zona della Sicilia qui inviata quale vicaria. Sul Reclusiorio delle Teresiane antiche narrazioni raccontano della presenza di un fantasma. Quello di una novizia che si aggirava tra i locali, oggi calcati dagli studenti.</p>
<p>Si racconta, infatti, che una volta fu portata una ragazza costretta dai genitori a prendere i voti per dimenticare un amore ritenuto indegno dalla famiglia. La giovane trascorse un paio di settimane sperando di convincere i suoi a desistere dall’ordire ricevuto. Ma a nulla valsero le lacrime e le petizioni. Una sera la giovane, chiesto il permesso di passeggiare tra i corridoi, si lanciò da un balcone nell’ameno giardinetto. Invano si cercò di occultare il suicidio dicendo che era franato un pezzo di balcone; la storia si conobbe. E si dice che dal giorno in cui fu sepolta ogni sera molte monache sentivano strani rumori ed un leggero tocco di campane. Qualche suora raccontò perfino di aver visto un’immagine aggirarsi nell’oscurità della notte.<br/><br/> <em> </em></p>
<p class="firma">Silvia Ragusa</p>
</div>
</div>
</div> Succedeva e succede ancora !!!!!!!!!tag:ingegniculturamodica.ning.com,2011-06-03:3900264:Topic:250042011-06-03T10:16:56.218ZGino Salinahttp://ingegniculturamodica.ning.com/profile/GinoSalina
<p class="letta"> </p>
<h2 class="templatemo_leftcol_subcol-1" id="mstr_news"><a href="http://www.ragusanews.com/attualita" title="Vai alla categoria Attualità">Attualità | <span class="accent">Ragusa e Vittoria</span></a></h2>
<p class="templatemo_leftcol_subcol-1"><a class="tech" href="http://www.technorati.com/tag/Attualit%C3%A0" target="_blank" title="Condividi su Technorati"></a></p>
<h1 id="titolo">I candidati consiglieri che hanno preso zero voti e mio nonno Carmelo…</h1>
<p class="letta"> </p>
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<h1 id="titolo">I candidati consiglieri che hanno preso zero voti e mio nonno Carmelo</h1>
<div class="templatemo_leftcol_subcol-2"><div id="dettagli_news"><h2>Dedicato a tutti quelli che non si sono votati</h2>
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<div class="templatemo_leftcol_subcol-1"><div id="leggi_news"><div class="fullnews"><p>Scicli – Mio nonno Carmelo era comunista.</p>
<p>Anzi. Mio nonno Carmelo era fascista.</p>
<p>Insomma, ai tempi del Duce il nonno era, come tutti, fascista.</p>
<p>Poi cadde il fascismo e lui si sentì libero di dichiararsi comunista.</p>
<p> </p>
<p>Un giorno, io non ero ancora nato, venne un notabile di Scicli, un cavaliere e gli propose: “Don Carmelo? Vi candidate nel partito Repubblicano?”</p>
<p> </p>
<p>Mio nonno era come suo nipote.</p>
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<p>Gli pareva brutto dire di no.</p>
<p> </p>
<p>E quindi diceva sempre di si.</p>
<p> </p>
<p> </p>
<p>Come al dottore, che gli raccomandò una volta di bere solo un bicchiere di vino a tavola.</p>
<p> </p>
<p>Il dottore non sapeva che mio nonno era falegname, e lui obbedì: a ogni tavola un bicchiere.</p>
<p> </p>
<p>Ma parliamo di politica.</p>
<p> </p>
<p>Mio nonno si candidò nel Pri, partito nobile, conservatore, popolato dall’intellighenzia del tempo.</p>
<p> </p>
<p> </p>
<p>Prese zero voti.</p>
<p> </p>
<p> </p>
<p>E quando seppe di aver preso zero voti al consiglio comunale andò da nonna Concetta e la rimproverò.</p>
<p> </p>
<p>“Ma come, neppure tu che sei mia moglie mi hai votato?”</p>
<p> </p>
<p>E la nonna: “Scusa, Meno, ma neppure tu ti sei votato”.</p>
<p> </p>
<p>“Cuncittina!! Ma tu lo sai che io sono comunista.</p>
<p> </p>
<p>E che do il voto a un Repubblicano?”</p>
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<p> </p>
<p class="firma">Giuseppe Savà</p>
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