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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca

La Sicilia com'era : Antichi mestieri : Conzapeddi, Acquaiolu, Barialaiu, Chiddu ro ghiacciu, Lattaru, Mugnaiu, Agghiaru, Luppinaru, Trappitaru, Tessitrici, Ricuttaru, ecc.

Conzapeddi (Conciapelle)
Esercitava questo mestiere nelle concerie ubicate vicino a fontane o corsi d'acqua per la produzione di pellame vario e di cuoio. Le
pelli venivano tenute in acqua insieme alla calce viva, per la spelatura ed a
seconda di cosa si volesse ottenere venivano conciate utilizzando sostanze
naturali come il sommacco e l'allume di rocca. Venivano quindi stirate sotto i
rulli e lasciate essiccare in zone ventilate. Era un lavoro duro da esercitare,
in quanto l'ambiente era un luogo umido e saturo di impurità, se si pensa che
in quel periodo non esistevano guanti e stivali ed anche in inverno si entrava
nelle vasche piene d'acqua con le gambe scoperte.


Acquaiolu (Acquaiolo)
Era un uomo piuttosto malandato, che girava per le vie della città con una brocca d'acqua sotto l'ascella con dei bicchieri di vetro e
una bottiglietta di anice (zammù) per aromatizzare l'acqua. In seguito gli
acquaioli più moderni, si attrezzarono con una brocca di terracotta (quartara)
ed un tavolino pieghevole solitamente decorato. A richiesta insieme all'acqua
forniva: succo di limone e bicarbonato di sodio.


Barilaiu (Trasportatore d'acqua)
Il barilaru era un trasportatore d'acqua a domicilio, ed
era un mestiere esercitato indifferentemente sia da uomini che da donne
appartenenti ai ceti più poveri della società. Giravano quasi sempre a piedi
nudi, con una olona impermeabile sulle spalle per non bagnarsi sulla quale
poggiavano dei barili di forma allungata dalla capacità di circa trenta litri.
Questi barili venivano riempiti nelle fontanelle pubbliche per rifornire a
domicilio le famiglie benestanti. Con il potenziamento della rete idrica che
riforniva direttamente il prezioso liquido nelle case, quello del barilaru è un
mestiere non più esercitato.


Chiddu do ghiacciu (Venditore di ghiaccio)
Girava con una carrozza trainata da un cavallo con dei
grandi sportelli posteriori e rivestita all'interno di lamiera zincata. Egli
trasportava blocchi di ghiaccio lunghi circa un metro, acquistati nelle
fabbriche del ghiaccio che sezionava con un punteruolo per venderli al
dettaglio. Solitamente indossava un grembiule impermeabile e dei stivali di
gomma e faceva accorrere i clienti con tegami e pentole per trasportare il
ghiaccio acquistato nelle ghiacciaie delle proprie abitazioni.


Lattaru (Venditore di latte)
All'alba aiutato da un garzone, 'u lattaru detto anche
'u vaccaru munito di un piccolo sgabello, di un secchio e di un paniere per
contenere le bottiglie, faceva uscire una mucca dalla stalla ed iniziava il
giro per le borgate. Le comari accorevano ancora sonnecchianti e in vestaglia
ed egli con estrema professionalità mungeva le mammelle della mucca per
riempire le bottiglie di schiumoso latte. Qualche comare più furba a volte
apostrofava: Mi livassi 'a scuma!>> temendo che la schiuma
facesse diminuire la quantità del prezioso liquido.


Mugnaiu (Mugnaio)
Utilizzavano l'acqua dei torreni, incanalandola in lunghi percorsi in muratura ("a prisa"), come forza motrice per far
girare le grandi macine che servivano per trasformare in farina alimentare i
cereali, i legumi prodotti nelle campagne. I paesi posti ai piedi delle
montagne o nelle strette valli beneficiano di flussi di acqua continui, che
muovevano anche le macine dei mulini. All'edificio del mulino l'acqua bisognava
portarla, canalizzandola a partire, spesso, da grande distanza. Nel tratto
finale una condotta forzata, quasi perfettamente verticale, conduceva, quando
era necessario, l'acqua sulle pale del rotore posto sotto le macine del mulino.
I proprietari, i massari, i contadini producevano grano, granturco e altri semi
che dovevano essere macinati. Al mugnaio si pagava la "decima"
sottraendola al prodotto macinato, o in denaro.


Agghiaru (Venditore d'agli)
Trattasi di un venditore ambulante che girava a piedi miseramente vestito con giacca, pantaloni e un grosso cappello di paglia in
testa. Dalle sue spalle penzolavano molte trecce d'aglio realizzate con gli
steli secchi intrecciati delle stesse piante. I suoi clienti ne acquistavano un
certa quantita' e li lasciavano appesi visto che era una consuetudine di certi
alimenti farne una provvista. Ancora oggi venditori d'aglio girano per le vie
dei paesi anche se non a piedi ma solitamente a bordo di una motoape.


Luppinaru (Venditore di lupini)
Era uno dei più poveri fra i venditori ambulanti,
percorreva a piedi le vie della città e portava in una mano una pentola
contenente uno strato di acqua salata in cui erano immersi i luppini (lupini) e
un mestolo traforato, nell'altra teneva un paniere pieno di cupitelli che erano
dei coni di carta di diversa grandezza con all'interno un foglietto di carta
impermeabile. Con il mestolo forato prendeva i lupini filtrandoli dall'acqua e
riempiva i cupitelli. Solitamente sostava dinanzi alle bettole in quanto gli
assidui bevitori di vino preferivano sorseggiarlo accompagnandolo con dei
lupini salati



Trappitaru (Frantoiano)
Gli antichi frantoi erano mossi dalla forza dell'acqua o
da un quadrupede velato e le varie "macchine" erano di legno.
Mediante la pressatura, le olive venivano spremute per ricavarne l'olio dalla
pasta rimaneva separata. Oggi i frantoi per le olive sono macchine enormi a
ciclo continuo: le olive, vengono lavate e dei grandi rulli d'acciaio le
schiacciano; la pasta ottenuta, trasportata dai nastri, passa alla spremitura
per centrifuga ed esce l'olio, mentre le morchie e la sansa escono a valle.
L'esperto non è più necessario, perché le macchine fanno tutto.


Tessitrici (Tessitrice)
Era un mestiere esercitato esclusivamente da donne mediante un telaio il cui battitoio produceva un suono cadenzato
caratteristico. In ogni via del paese c'era almeno un telaio in funzione,
ininterrottamente per moltissime ore di ciascuna giornata. Venivano, prima filate
e poi tessute, le fibre del cotone, del lino, della canapa, della ginestra,
della seta, della lana. Il telaio, costruito in legno dai falegnami locali. Il
prodotto contribuiva alle economie delle famiglie che preparava le tele
necessarie ai bisogni di tutti: biancheria, vestiti, coperte, tovaglie, ecc..
Il disegno su carta che serviva da guida per realizzare tessuti particolari
veniva chiamato "carta di musica", forse per la sua somiglianza con
una partitura musicale.


Ricuttaru (Venditore di ricotta)
Trattasi di un venditore ambulante molto particolare per
il modo di vestire, indossava solitamente: camicia, pataloni di velluto,
coppola, gilet e scarponi. Arrivava in città dalla campagna la mattina presto
con le fascedde (fiscelle) realizzate con sottili canne e giunchi intrecciati,
piene di ricotta che pendevano a grappoli dalle sue mani. Oggi i pochi
ricottari ambulanti rimasti, vendono la ricotta in macchina o in ape urlando la
propria merce attraverso un megafono microfono amplificato.


Ammolacuteddi (Arrotino)
Girava spingendo un carrettino (i più benestanti lo facevano tirare da un asinello), dove era situata una pietramola a forma di
ruota che tramite una cinghia di cuoio era collegata ad un pedale di legno che
pressava per farla ruotare. Vi erano inoltre due recipienti uno pieno d'acqua e
uno pieno di sabbia collegati con due tubicini per versare il contenuto sulla
pietramola e facilitare cosi' l'arrotatura.


Stampasanti e pincisanti (Stampa e dipingi Santi)
Gli stampasanti, pur sotto il controllo della chiesa,
realizzavano stampe di immagini sacre secondo diversi tipi di produzione:
stampe in rilievo, stampa in cavo, stampa in piano, a seconda del materiale con
cui era fatta la matrice. La colorazione, fatta dopo la stampa, prevedeva
campiture ampie con pochi colori e sfumature. I pincisanti erano invece pittori
su vetro di immagini sacre. I colori, mescolati con solventi, vengono applicati
a freddo su di una lastra di vetro. L’artigiano poneva sotto la superficie il
disegno da copiare. Il lato su cui si lavorava era il recto, mentre ciò che si
mostrava a lavoro concluso era il verso. Per questo motivo il disegno andava
realizzato in modo speculare rispetto all’immagine che si voleva ottenere. La
fragilità del vetro ha fatto si che questa tecnica venisse adoperata per opere
di piccola dimensione.
       


Siggiaru (Impagliasedie)
Raccoglieva nelle paludi la sala, un'erba acquatica che cresceva spontaneamente con la quale si impagliano le sedie. Gli 'ultimo
impagliasedie hanno terminato la loro attività da un decennio, anche perchè si
faceva sempre più difficoltoso trovare nelle nostre zone palustri la pianta
della "sala" (in dialetto "guda") ed era costretto ad
acquistarla dai grossisti che l'importavano dal Nord-Africa. Con la "guda"
si possono realizzare vari tipi di impaglio che ornano di un disegno geometrico
il sedile.


Scapparu (Calzolaio)
A questa attività erano dediti i ragazzi non adatti ai lavori nei campi. Il calzolaio ricavava da sé i suoi materiali di lavoro: lo
spago dal lino, i nziti, che guidavano lo spago nei buchi, dalle setole del
maiale, u stuccuneddu, per la pulizia delle suolature, da una costola
d’animale, u bussettu, per la lucidatura dei tacchi, dal legno di bosso. Il
lavoro inizia prendendo le misure di entrambi i piedi. A questo punto si
provvede a tagliare le pelli per la tumaia, cioè la parte superiore della
scarpa. La tomaia viene cucita e montata sulla forma con un’apposita tenaglia.
La pelle è fissata con dei chiodini e solo a questo punto si passa alla
cucitura viene tagliata la suola e battuta con un martello. Dopo l’applicazione
della suola la si rifinisce con il trincetto. Il tacco è costituito da ritagli
di cuoio sagomati sui quali si basa alla fine il soprattacco. Perché il lavoro
sia del tutto finito occorre realizzare l’allacciatura e fissarvi gli occhielli
di metallo.


Quattararu (Ceramista)
Durante l'estate, i ceramisti si rifornivano di creta che veniva riposta nei magazzini dentro delle fosse dove veniva aggiunta acqua
per ammorbidirla. In seguito veniva portata in uno spiazzale dove veniva
impastata con acqua, battuta con delle mazze, pestata a piedi nudi e spesso si
ricorreva all'utilizzo di un cavallo o di un mulo. I blocchi di argilla morbida
venivano messi su un tornio che ruotava con la spinta del piede, mentre con la
pressione delle mani prendevano forma: giare, anfore, piatti ecc..., venivano
quindi messe ad asciugare per essere poi infornate. Quando uscivano dal forno
il prodotti venivano lasciati grezzi o decorati utilizzando spesso degli
stampini.


 Cabbunaru (Venditore di carbone)
Mestiere durissimo quello del carbonaio e senza limiti nelle ore continue di lavoro. Il taglio di boschetti o la potatura fornivano la
materia prima per ottenere il carbone, per cucinare o per riscaldare le case.
La carbonaia va assistita e alimentata anche di notte; un errore durante la
cottura per la trasformazione del legno in carbone comporta la perdita di
settimane di lavoro e di mancato guadagno. I tronchi e i rami che dovranno
diventare carbone vengono ammassati intorno ad una "fossa" nella
quale verrà acceso ed alimentato il fuoco. Tutti membri della famiglia, anche i
più piccini, sono coinvolti durante la preparazione della carbonaia e poi
nell'insaccamento del prodotto. Il mestiere sopravvive per gli amatori del
caminetto, delle stufe o degli arrosti sulla brace.


Scuparu (Venditore di scope)
Preparava le sue scope con il verbasco, e con una stuoia sulle spalle le portava a tracolla per venderle lungo le strade o nelle fiere
la domenica. Sui pavimenti di terra, di cemento, o di mattoni questo tipo di
scope erano insostituibili. Secondo una superstizione popolare le scope non
erano ritenute propizie per i matrimoni durante il mese di agosto, quindi in
questo periodo di magra per le vendite evitava di girare per i quartieri così
che quando ritornava le comari erano molto ansiose nel rivederlo.


Cufinaru (Cestaio)
Con le canne (Arundo donax) raccolte solitamente nel mese di gennaio nelle zone umide e fatte essiccare al sole per alcuni mesi
costruiva: cesti, canestri, panieri. Con l'utilizzo di un coltello tagliava per
il verso lungo le canne in quattro parti e con abile maestria le intrecciava
con i rametti di castagno o di ulivo. Spesso non era neanche un mestiere perchè
essendo una tecnica che si tramandava in famiglia, ciascuno provvedeva a
costruirsi ciò che gli serviva. Con le canne venivano anche realizzati attrezzi
per la tessitura e la filatura, ditali, pettini, gabbie per volatili ed anche
stuoie per essiccare fichi e pomodori.


 

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Risposte a questa discussione

I manufatti di alcuni di questi artigiani, nelle cui botteghe un tempo era consueto imbattersi, oggi costituiscono delle vere e proprie opere d'arte tanto più ricercate se si considera che le antiche maestranze rischiano di scomparire. Sarebbe auspicabile oltre che utile ed opportuno che questi artigiani fossero considerati, per la loro abilità perizia costanza e capacità creativa, dei "patrimoni" da proteggere perché ci permettono di ammirare esemplari di una tradizione unica ed autentica nel suo genere, frutto dell’esperienza accumulata in tanti anni di certosino lavoro, svolto con passione ed accurata ricerca dei particolari, ma soprattutto perchè ci hanno lasciato delle testimonianze in cui sopravvive ancora una cultura popolare capace di tramandare e valorizzare l’immagine delle nostre più profonde radici.
Speriamo che le generazioni successive alla nostra sappiano, almeno, apprezzare il lavoro svolto dai loro bisnonni!!!!!!!!!!

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