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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca


CARATTERISTICHE
DELLA FIABA SICILIANA

La fiaba siciliana è ricca di colori, di natura
e sollecita il meraviglioso, spesso facendolo
nascere da una componente realistica o dalla
rappresentazione della condizione del popolo;
alcune fiabe cominciano con una famiglia
che non sa cosa mettere in pentola e il padre
o la madre con le figlie vanno a «cavuliceddari»
(vanno cioè alla ricerca di verdura selvatica);
o prendono l'avvio da scene di vita quotidiana
come Lu giuvini di lu Furnari(11): - Na vota cc'era
un furnaru, e ogni matina carricava un'unza
di pani a 'na viestia ca cci java davanti la putia,
per poi introdurre in un mondo fantastico nel
quale tutto è possibile, anche che il più povero
degli uomini diventi re.
Un motivo abbastanza frequente nella fiaba
siciliana è quello del “trovatello” o dell'orfano
che viene generosamente accolto da una
famiglia umile, una situazione riportata da alcune
cronache come vissuta con moralità
dalle famiglie contadine del secolo scorso che
accoglievano il “nuovo acquisto” amorevolmente
come un figlio proprio. Nella fiaba
Accaciùni, ad esempio, è la famiglia dei vicini
che si prende cura di un piccolo orfano: - 'Na
vota cc'era un patri e 'na matri, e avianu un
picciriddu. Mòrsiru, e lu picciriddu arristò
'mmenzu la strata. Unu di lu vicinanzu nn'appi
pietà e cci detti a manciari.
Tra i valori simbolo che caratterizzano la
fiaba siciliana, la giustizia gioca un ruolo certamente
non secondario, sia intesa in un'accezione
istituzionalizzata per cui nella fiaba Lu
sciurturatu è il giudice a definire una disputa
fra due fratelli, ma soprattutto in senso compensato-
rio. A questo proposito non mancano
esempi emblema-tici, basti citare La riggina
superba, dove la regina si rende conto della
propria fortuna solo dopo essere stata costretta
a vivere da venditrice di trippa. Così anche
ne Li dui palummi 'nfatati in cui la regina soffre
eccezionali doglie per il parto, mentre in
Fusidda una popolana partorisce senza alcun
dolore e con l'aiuto della Madonna.
In questi casi la fiaba trascende la realtà, la
corregge ipotizzando situazioni com-pensative
tra ricchezza e povertà, tra potenza e miseria.
Tutte le fiabe ci portano in una dimensione
atemporale dove regnano re e regine, di
solito la corte del re nelle fiabe popolari “è
qualcosa di generico e d'astratto, un vago simbolo
di potenza e di ricchezza, in Sicilia invece,
re, corte, nobiltà sono istituzioni ben precise,
concrete, con una loro gerarchia, una loro etichetta,
un loro codice morale ... ed è caratteristica
della fiaba siciliana che i re non prendono
mai decisioni importanti senza consultare
il Consiglio”(12). Ci si imbatte spesso in frasi
come: Lu re tocca campana di cunsigghiu:
eccu tutti li cunsiggheri; oppure: graperu cappella
riali e s'hannu maritatu, segno evidente
della presenza nell'isola di un potere nobiliare
a volte rappresentato da un monarca o da un
governatore. Nell'immaginario popolare anche
il palazzo del Barone o del Conte che vive in
quella regione può rappresentare il fasto della
corte, eviden-ziando il permanere di una potente
classe nobiliare per secoli in Sicilia; qui
non è il re a comandare, almeno non senza il
consenso e l'approvazione dei nobili siciliani,
del «cunsigghiu». Anche la memoria di queste
esperienze viene trasmessa e rielaborata nelle
fiabe.
Nelle fiabe siciliane viene dato un ruolo
molto importante alle figure femminili, le donne
non sono solo detentrici di poteri magici,
come del resto avviene nelle fiabe di tutto il
mondo, ma dimostrano un grande spirito d'iniziativa.
In particolare Calvino nota come
Agatuzza Messia (nutrice e principale fonte per
le raccolte di fiabe di Pitrè) fa “muovere i personaggi
femminili attivi, intraprendenti, coraggiosi,
che paiono quasi in aperto contrasto con
l'idea passiva e chiusa delle donne che si pensa
tradizionale in Sicilia”(13).
Basti pensare alla fiaba Grattula-Beddàttula
che può considerarsi la versione siciliana di
Cenerentola.
Qui non vi è traccia del patetico moralismo
della sorella reietta come nella famosissima
Cendrillan di Perrault, la versione siciliana è più
vicina alla Aschenputtel dei Grimm, ma nella
versione siciliana non compare nemmeno il
pietistico rapporto con la madre morta. La
nostra protagonista, Nina, dimostra una grande
autoconsapevolezza sin dall'inizio della fiaba
quando al padre in partenza per un viaggio
chiede in dono, non vestiti come le sorelle, ma
un ramo di dattero in un vaso d'argento, e questo
non per umiltà o semplicità d'animo, anzi,
dice al padre che se non glielo avesse portato,
il bastimento non si sarebbe più potuto spostare.
Durante l'assenza del padre Nina si fa
calare nel pozzo dalle sorelle per ripescare il
ditale caduto alla più grande, una volta nel pozzo
scopre di potersi introdurre in un giardino
meraviglioso, e senza esitare entra nel giardino
per tre volte, raccogliendo frutti e fiori e
riuscendo ogni volta a s fuggire sia al giardi-
niere che al principe. Anche nella versione siciliana
di Cenerentola ci sono tre balli a corte,
ma in questo caso la nostra protagonista non
viene esclusa dalle sorelle, anzi, queste la pregano
di andare con loro, ma Nina non si lascia
convincere neanche dal rischio che il padre
venisse punito per non aver portato al ballo
una delle figlie. Il ramo di dattero manifesta il
suo potere magico quando, rimasta sola, Nina
gli ordina di prepararla per la festa e al ritorno
di spogliarla. Non c'è alcuna scarpina di cristallo
ma la terza sera il re interroga direttamente
la nostra protagonista chiedendole spiegazioni
del suo comportamento e, convinto
dall'amore che il principe già nutriva per lei,
acconsente alle loro nozze. Nina non conquista
l'amore del principe grazie alla sua bellezza,
ma senza chiedere l'aiuto del padre o delle
sorelle mette a punto una strategia precisa per
conquistare l'amore del principe tenendo desto
il suo interesse e la sua curiosità e gli rivela
la sua identità solo la terza sera quando è sicura
che ormai non avrebbe avuto alcuna importanza.
Nina rompe gli schemi tradizionali
legati a una figura femminile assoggettata al
predominio maschile, e ci presenta una donna
che con furbizia e audacia decide da sola
per il proprio futuro senza ricorrere neanche
all'aiuto di fate o altre figure fantastiche; il ramo
di dattero, infatti, è solo uno strumento che lei
è in grado di usare perché ne conosce i poteri.
Il raccontare fiabe è stata per secoli un'arte
femminile, e probabilmente alcune fiabe
rappresentano uno spirito di rivincita delle
donne verso il predominio maschile; è questo
il caso della fiaba La panza chi parra in cui il re
dice alla moglie: - Pigghia lu Regnu tu, e regna
a tò talentu, ca tu ci hai giudiziu pi tia e pi autru.
Il personaggio centrale, il protagonista
della cultura siciliana è Giufà, e anche se i racconti
che lo riguardano non possono considerarsi
fiabe, non possiamo non parlare del
personaggio che ha caratterizzato i racconti
della nostra infanzia.
Giufà nasce nel mondo arabo ed è presente
in tutta la favolistica del bacino mediterraneo;
il personaggio di Giufà è “una grande
metafora dell'uomo trasmutabile, ... egli accoglie
in sé virtù e difetti e spesso proprio come
avviene nella vita, in lui il confine fra dabbenaggine
e furberia, tra scemenza e saggezza, è
sottile e quasi impercettibile”(14). Giufà rappresenta
lo “sciocco-sapiente”, le sue battute da
scemo risultano sagge e convincenti e le situazioni
pericolose nelle quali finisce si risolvono
in modo vantaggioso. La saggezza di
Giufà è particolarmente accentuata nella
favolistica turca dove Giufà, cioè Nasreddin
Hoca, è spesso presentato come un saggio o,
comunque, una persona di spirito, che sa cavarsi
d'impaccio mediante un motto o una trovata
intelligente. Giufà è anche l'eroe della
letteralità, nel senso che esegue sempre alla
lettera le cose che gli vengono dette; ad esempio
quando la madre uscendo di casa per la
Messa gli dice: - tiriti a porta Giufà comu nisciu
sò matri, pigghia la porta e la metti a tirari; tira
tira, tantu furzau ca la porta si nni vinni.
Vorremmo concludere con una fiaba che
reputiamo di grande attualità e che fa riflettere
con la sua semplicità: nessuno invitava Giufà
alle feste perché si presentava come uno straccione
e indossava vestiti vecchi e laceri, quando
la mamma gli fa un vestito nuovo Giufà torna
alla masseria dove prima era stato cacciato
in malo modo, e questa volta viene accolto a
braccia aperte e viene invitato a tavola con loro,
allora Giufà con una mano mangia mentre con
l'altra conserva il cibo: - 'nta li sacchetti, nna la
còppula, nna la bunàca; e ad ogni cosa chi si
sarvava dicia: - «Manciati, rubbiceddi mei, cà
vuàtri fustivu 'mmitati!»

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