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Un viaggio nel cuore della meravigliosa Sicilia Barocca


Cantastorie Orbi e Cuntastorie

Palermo è stata la culla di un’ altra figura tradizionale oggi completamente scomparsa il Cantastorie Orbu, nata intorno alla metà del 1500, anno in cui la Chiesa e precisamente i Gesuiti si interessarono a loro notando che la loro comunicativa molto vicina alla gente poteva servire come mezzo per diffondere storie sacre e liturgie e avvicinare così il popolo a Dio.

Da questo momento in poi, i Cantastorie Orbi e i Cuntastorie forti della protezione della Chiesa iniziarono a proliferare portando tra il popolo nuvene, trionfi e cunti, operando in nome di una verità religiosa nella quale i Santi e le Sacre scritture erano raccontati.

Uno dei più autorevoli palermitani oggi scomparso (fortunatamente si è potuto fare una ultima registrazione dal vivo) è stato Giordano Fortunato (nella foto)  uno dei  migliori  interpreti  di  “U triunfu di Santa Rosalia” del quale esiste anche una  versione su C.D.

Queste storie raccontate dai Cantastorie Orbi e Cuntastorie costituisce un sapere mitico dove a trionfare erano sempre il bene, i valori cavallereschi dei paladini, della giustizia, della croce e della spada.
Ed è forse proprio questo rigido legame ai temi, ai simboli e agli  stili  del  passato (ci fa sapere  Mauro Geraci, docente di Etnologia alla Sapienza di Roma)
che  non

ha permesso a Orbi e Cuntastorie di esplorare nuovi spazi poetici, musicali e comunicativi, come quelli che invece i cantastorie mostrano di sperimentare quotidianamente ancora oggi.

I cuntastorie non utilizzavano alcuno strumento musicale ma modulavano la voce con una tecnica tutta particolare, che veniva tramandata di generazione in generazione, un racconto orale con regole precise di tempo, ritmo ed esposizione.

Questi “menestrelli cuntisti” giravano le città in lungo e in largo spostandosi come potevano e usando qualsiasi mezzo di locomozione;  non importava se erano analfabeti o ignoranti, la loro capacità era quella di apprendere e comunicare al popolo.

Ci fa sapere Consolo (apprezzato scrittore siciliano), che il cunto si è salvato per il suo ruolo sociale di memoria, per l’antica funzione epica della parola, è la capacità di rendere con la voce e teatralizzare una della componenti della parola, contraddistinguendosi da tutto il resto.

Nel racconto epico, più che in qualsiasi altro testo, questa attitudine riesce ad esprimersi al meglio.
Infatti, narrare del ciclo troiano, del ciclo greco, di Carlo Magno e i suoi paladini, significa trattare delle eterne lotte tra il bene ed il male, tra la vita e la morte; tanto è vero che poi il teatro dei pupi siciliani nella seconda metà dell’Ottocento, volendo mantenere la valenza epica si è specializzato in questa direzione, ereditando tutto il patrimonio dei cuntastorie e non dei cantastorie, infatti sia il cuntastorie che il teatro dei pupi trattavano in effetti lo stesso repertorio classico, anche se naturalmente, quest’ultimo è subentrato in un secondo tempo.

Qualche volta il cuntastorie era una sorta di puparo mancato, a cui solo le limitate possibilità finanziarie impedivano di allestire il teatro dei pupi. Si trattava quasi sempre di povera gente, che viveva alla giornata, e che non poteva permettersi assolutamente di acquistare tutti gli attrezzi del mestiere per diventare puparo, così si affidava all’arte della parola, imparava tutte le regole della narrazione e negli anni diventava cuntista.

                                                                                                                                            


Puparo, Cuntastorie e Cantastorie

A questo punto occorre chiarire e fare un distinguo tra: Puparo, Cuntastorie e Cantastorie.

Mentre i primi due trattavano lo stesso repertorio epico e cavalleresco, il Cantastorie si basava su fatti di cronaca e di attualità, adoperando la maestria dei cuntastorie e una mimica particolare usata soprattutto nelle parti tragiche, gridando, lamentandosi e delle volte anche piangendo. La sua prosa e un canto in versi accompagnato dal suono di uno strumento musicale per lo più una chitarra o una fisarmonica.

Esso in qualche modo aveva la funzione di far conoscere storie e fatti come uno speaker televisivo ma con una valenza teatrale e spettacolare, anche se (come accennato precedentemente), le storie talvolta venivano travisate e manipolate per adattarle allo scopo.

La forza dei cantastorie si basava soprattutto nel fascino del dramma nella narrazione di una storia, ed è solo in questo modo (afferma Bungaretta, studioso di tradizioni popolari) che il cantastorie potrebbe sopravvivere ai giorni nostri, raccontare un episodio, un fatto che sia carico di simbologia, perché prende valenza diversa da altri eventi, e diventa suscettibile di drammatizzazione e quindi di interesse per il pubblico.

E’ questo il caso ad esempio dell’uccisione di Falcone e Borsellino, due personaggi simbolici, carichi di eroicizzazione da parte del pubblico, due paladini che combattevano quel mostro che è la mafia; Ecco, in questo caso è possibile per il cantastorie raccontare ancora ed affascinare il pubblico, nonostante ne siano ormai note le immagini fin nei minimi particolari. 

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